Il silenzio impossibile: rumori molesti e danno psichico-esistenziale

« l’enfer c’est les autres »

-Jean-Paul Sartre-

Rispondo a diversi lettori, integrando la mia esperienza, in merito al (mal) funzionamento interpersonale ovvero l’incapacità di entrare in contatto con gli altri con presupposti e modalità pro-sociali. Riporto le testimonianze in forma di quesiti, provenienti da chi s’interroga sul senso di alcune condotte o viene fortemente limitato nei propri diritti:

a) “Mi chiamo (…). Sono nata a (…) e cresciuta nel sud-ovest dell’Inghilterra. Costretta ad allontanarmi dalla mia casa, per lavorare in Italia, sono precipitata in un inferno. Città bellissima (…), niente da dire, ma troppo distante dalla civiltà cui ero abituata. Divido l’appartamento in zona residenziale con due colleghi e spendiamo oltre 1000 euro mensili per non dormire. Uno di loro ha perso il lavoro per scarso rendimento, mentre io sono stata da un Suo collega, perché soffro di emicrania e attacchi di panico. Ho paura di rientrare in casa, dopo una giornata di lavoro (da ricercatrice) e di dover affrontare lo stress quotidiano, provocatoci da una famiglia particolarmente “molesta”, anzi una fabbrica di rumore, per essere precisa. Mi chiedo e Le chiedo: Io spendo del denaro perché altri mi fanno ammalare, ma chi molesta gli altri, qualche problema se lo pone o no?”.

b) “Gentile dottoressa sono (…). Le scrivo questa mia per chiederle cosa posso fare per tutelare la mia salute. Soffro di crisi epilettiche, e tutti i giorni devo convivere con i forti rumori di passi provenienti dal piano di sopra. Abbiamo provato a parlare con la signora invitandola almeno a portare delle ciabatte, ottenendo solo un peggioramento della situazione. Devo ammettere che ho timore quando rientro dal lavoro, poiché mi sembra di vivere in una grancassa, e la mia testa subisce giornalmente delle scosse…cosa posso fare per tutelare la mia  salute?”

-Viene evidenziata successivamente la presenza di patologie anche a carico della moglie- “patologie che non possono stabilizzarsi nè tantomeno migliorare in presenza di una situazione così stressante. Resta fermo comunque che anche una persona sana, potrebbe veder compromesso il suo equilibrio psico-fisico come Lei ben spiega”.

c) “Sono un ex imprenditore, e per una serie di circostanze negative, per necessità, svolgo attualmente un lavoro ben più umile, con una famiglia da mantenere e problemi di salute. Non entro nel dettaglio dei problemi che mi assillano, ma Le dico soltanto che dopo turni massacranti, un poveraccio non può neanche godersi la tranquillità di casa sua… Sono cresciuto in campagna, e non comprendo come si possa vivere coprendo col rumore la propria o altrui vita. Il mio quesito:- E’ sano di mente chi, pur avendo ricevuto continui richiami, continua a vivere secondo regole di inaudita inciviltà?”

d) (…) “Ho un figlio che qualcuno osò definire in termini psicopatologici, uno di quegli esseri che, preso atto dell’elevato tasso di insensibilità circolante, vivono in un mondo a parte, un mondo fatto di interessi culturali e dove l’introversione è la sola nota distonica nel rapporto con gli altri. Insegno (…) e la mia esistenza è fatta di piccole gioie quotidiane: la stima dei miei studenti, il sorriso di mia moglie, che amo, le brevi vacanze in Francia, dove risiede mia sorella. Il resto è la lucida constatazione che chi fugge da se stesso, chi non ama la pace, chi non coltiva interessi, crea inevitabilmente problemi agli altri: Mio figlio ama stare in solitudine, è poco loquace, ma mi creda, non nuoce a nessuno, mentre “oltre la soglia” c’è gente che inutilmente si agita, e disturba la nostra quiete, di giorno e di notte. Spero di ricevere il Suo sostegno nel ritenere che conviene tenersi fuori da una comunità di sopraffattori, ignoranti, incapaci di reggere il peso del proprio silenzio. Anche a costo di sentirsi disadattati…”

e) “Gent.ma dottoressa, c’è una grande attivazione, sul piano scientifico, volta ad indagare gli effetti del rumore sulla salute, e mi riferisco ai disturbi dell’udito in contesti lavorativi a rischio o in prossimità di aeroporti e centri urbani con elevate soglie di decibel. Quali sono gli effetti extrauditivi del rumore, e quali i rischi per la salute mentale?”

Dividerò in paragrafi le mie riflessioni, tentando di rispondere a tutti. Ometto i contenuti di altre lettere, che presentano analogie con quelle selezionate. Mi scuso, per questo, con i lettori che hanno richiesto il mio parere.

1.Condotte egocentriche ed antisociali: evidenze psicopatologiche nella vita quotidiana

Doverosa premessa alle mie risposte è la definizione del funzionamento del Sé personale e interpersonale, le cui alterazioni costituiscono il nucleo psicopatologico dei disturbi di personalità. Il Sé e l’identità sono il frutto di una interazione che mette in relazione l’individuo con se stesso e con l’insieme di rappresentazioni della realtà circostante. Un funzionamento adattivo implica la capacità di autodeterminarsi, di accedere alle proprie esperienze emotive, di perseguire in modo coerente obiettivi esistenziali, di uniformare la propria condotta a standard interni di comportamento costruttivi. Con riferimento all’altro da sé, un buon livello d’integrazione personale consente anche di comprendere e valutare l’esperienza e le motivazioni altrui, di tollerare le prospettive differenti, di ri-conoscere gli effetti del proprio comportamento, di essere in grado di mantenere un profondo e duraturo rapporto con gli altri, stabilendo una vicinanza e un comportamento improntati al rispetto reciproco. Senza addentrarci nel dettaglio nosografico-descrittivo, è opportuno ricordare che alterazioni a carico del Sé, variamente associate ad incapacità a riconoscere e conformarsi al comportamento sancito dalla legge ed etico, possono rientrare in un quadro personologico caratterizzato da inosservanza e violazione dei diritti degli altri. Ad un esame profondo, l’egocentrica, insensibile mancanza di preoccupazione per gli altri, l’incapacità di riconoscere i loro bisogni e la tendenza alla mistificazione, sono aspetti tipici di una “visione autocentrata del mondo”. La discriminazione accusatoria verso chi osa comportarsi, pensare, esprimersi in modo differente da se stessi è il riflesso di tale labile impostazione identitaria e relazionale. Questo ha un’evidenza quotidiana a tutti i livelli d’interazione: ritengo che la scarsa considerazione degli altri stia diventando una regola di vita più che un’eccezione deplorevole, come si evince dalle testimonianze riportate. Se l’assenza di empatia, la falsità, l’irresponsabilità o la manipolatività, possono essere indicativi di una personalità connotata in termini patologici, è pur vero che tali tendenze vengono sostenute, diventando vere e proprie regole, in contesti che antepongono al valore del rispetto di sé e degli altri, una visione del mondo e uno stile di vita fondati sul bisogno di potere. Quanto più vacilla la personalità, tanto più emerge l’ambizione smisurata, il desiderio di sopraffazione. In effetti, sono tante le circostanze che costringono l’individuo a confrontarsi con una realtà particolarmente difficile, che osteggia ogni forma di benessere mentale. Se inconsapevole, il mancato riconoscimento degli altri e dei loro bisogni, deve essere necessariamente collocato in una dimensione autoreferenziale, narcisistica. Le condotte di portata antisociale poi, si insinuano in ogni piega del vivere quotidiano: rapporti improntati alla sopraffazione, contesti condominiali senza regole, l’impossibilità di riconoscere e rispettare norme di convivenza civile, ci raccontano un dramma derivante dal bisogno dell’uomo di conformarsi e di aderire ad un universo collettivo di riferimento ormai lontano da ogni forma di rispetto. D’altra parte, è sufficiente leggere le pagine di cronaca per ricevere un quadro descrittivo preciso delle infinite declinazioni patologiche e criminologiche cui impotenti assistiamo. Lo sviluppo psicologico si fonda su un lavoro di integrazione personale che non può escludere i nostri tratti contorti, le nostre ambivalenze, la nostra aggressività, le nostre paure, ma che non può e non deve tradursi in un assalto all’altrui libertà. A volte manifestare la propria “diversità” o esprimere il proprio dissenso rispetto a tali condotte significa imbattersi in una squalifica, ricevere un torto ulteriore, vivere sentimenti di inadeguatezza che possono nel tempo manifestarsi in un eccesso di impotenza e frustrazione benché derivanti dal bisogno legittimo di affermare se stessi e i propri diritti. Di frequente, chi pretende l’osservanza di orari e regole condominiali, o più in generale, l’adeguamento a norme di correttezza, nella migliore delle ipotesi viene minacciato, o appellato come “folle”, “esaurito”, ma esistono variazioni sul tema ben più irriverenti… La cosa più interessante è che tali definizioni provengono da chiunque venga invitato ad assumere condotte pro-sociali, quindi, in realtà la “diagnosi” colpisce paradossalmente proprio i soggetti lontani da ogni forma di patologia a carico della psiche. Assai di frequente, il proprio modo di essere viene misconosciuto, e la responsabilità del proprio (mal)agire viene distorta, a scapito degli altri.

Si sprecano termini nosografici che dovrebbero essere proferiti da addetti ai lavori, ma si sa, la proiezione è un meccanismo che serve ad espellere da se stessi il “male”, riversandolo su un altro. Se la regola di vita è il caos, l’ordine e il silenzio diventano necessariamente eccezione. A tal riguardo, non posso non essere in sintonia con G., padre del ragazzo “semplicemente”, “naturalmente” introverso e non per questo malato.

Il tempo che dedichiamo all’armonia, in tutte le sue forme, è nostro nella misura in cui esclude “a priori” una “certa” realtà umana. Quando tutto viene a mancare, in quell’ordine interiore, sede stabile del Sé, si può ancora coltivare l’illusione di vivere in un “tempio protetto”, tentando di riconquistare l’autonomia mutilata e quell’agognata libertà originaria che viene strappata all’uomo nel suo vivere in società con altri individui.

2. Rumori molesti e rischi per la salute

Gli effetti extrauditivi del rumore ovvero quelli che non si limitano a patologie dell’apparato uditivo, possono cominciare a comparire anche a livelli sonori meno elevati di quelli che producono l’ipoacusia.

Quando avvertiamo un rumore fastidioso, la prima reazione è quella di individuarne la sorgente e, se possibile, evitare il disturbo. In moltissimi casi questo non è possibile, per cui l’organismo rimane esposto ad un agente nocivo. Ciò determina l’instaurarsi di una condizione stressante. Gli effetti nocivi indotti da una eccessiva esposizione al rumore, si identificano in:

– disturbi acuti o cronici all’apparato uditivo

– disturbi del sonno e del riposo

– disturbo dell’apprendimento e dell’attenzione

– interferenza nella comunicazione verbale e nella vita sociale

Effetti extrauditivi dell’esposizione prolungata al rumore incidono negativamente sullo stato di salute, provocando alterazioni più o meno gravi a carico dell’Apparato cardiocircolatorio (ipertensione, ischemia miocardica), dell’Apparato digerente (ipercloridria gastrica, azione spastica sulla muscolatura liscia), Apparato endocrino (aumento della quota di ormoni di tipo corticosteroideo), Apparato neuropsichico (quadri ansiosi con somatizzazioni, insonnia).

Dormire 5 ore per notte è associato ad un rischio raddoppiato di sviluppare ipertensione in persone di età compresa tra 32 e 59 anni. Chi dorme poco corre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica ovvero Diabete Mellito, ipertensione, obesità e dislipidemia. La privazione del sonno provoca problemi cerebrali. Recenti studi hanno confermato che la mancanza di sonno notturno aumenta le concentrazioni mattutine nel sangue dell’enzima Enolasi Neurone Specifica (NSE) e della proteina S-100B. Si tratta di elementi tipicamente presenti nelle cellule del Sistema Nervoso Centrale e il loro incremento dopo una notte insonne potrebbe indicare un danno del tessuto cerebrale. Infatti, una crescente concentrazione di NSE e di S-100B nel sangue può essere indicativa di un danno neuronale di importante entità cosi come avviene per esempio, nelle commozioni cerebrali dopo un trauma cranico.

Il rumore può interferire con le attività mentali che richiedono molta attenzione, memoria ed abilità nell’affrontare compiti complessi. Le strategie di adattamento (del tipo: regolare o ignorare il rumore) e lo sforzo impiegato per mantenere le prestazioni, sono state associate ad aumento della pressione arteriosa e ad elevati livelli ematici degli ormoni legati allo stress.

Quindi, è accertato che l’esposizione continua al rumore:

1. produce nell’individuo danni alla salute

2. costringe l’organismo a mantenere uno stato d’allerta costante

L’impossibilità di vivere in condizioni di benessere può portare ad un calo delle prestazioni in ambito professionale, per un aumento della sensazione di fastidio (annoyance) e un decremento della capacità di concentrazione (rumori da passi pesanti, trascinamenti di mobili, caduta di oggetti, giochi di bambini, schiamazzi, ecc.). Lo stressor produce una serie di reazioni di difesa (quali modificazioni del ritmo del respiro e accelerazione della frequenza cardiaca). Se lo stimolo nocivo, il fastidio, permane a lungo o se le capacità di difesa dell’organismo vengono meno, possono verificarsi disturbi quali aumento della pressione e del battito cardiaco, aumento della secrezione acida dello stomaco, aumento della motilità intestinale, aumento della frequenza respiratoria. Tali disturbi ed altri, ad essi variamente associati, vengono indicati come effetti extrauditivi del rumore, proprio perché coinvolgono diversi apparati dell’organismo.

Un ambiente acustico sfavorevole costituisce una condizione di pregiudizio per una buona qualità di vita (Callegari e Franchini) e il rumore occupa uno dei primi posti fra le cause ansiogene della vita, essendo uno degli stimoli sensoriali più violenti e primitivi, costringendo i centri sottocorticali ad un adattamento di emergenza, che produce inevitabilmente una tensione emotiva (Cazzullo). In particolare, l’individuo esposto a simili condizioni ambientali, può presentare significative alterazioni a carico delle attività autorealizzatrici (sfera sessuale, lavorativa, progettuale), sociali.

3.Il reato di stalking condominiale

Al di là delle inevitabili osservazioni di carattere psicopatologico che riguardano chiunque agisca secondo inosservanza e violazione dei diritti degli altri, a livello penalistico, una condotta molesta può assumere diverse connotazioni a seconda delle modalità pratiche di svolgimento e alle conseguenze sulla vittima. Occorre sottolineare che spesso i rumori da appartamento trascendono in vere e proprie condotte persecutorie sussumibili nel reato di stalking. Ne abbiamo sentito molto parlare soprattutto nei casi di violenza alle donne, storiografia tragicamente ricca e di recente approfondita nel saggio “Artemisia e le altre. Miti e riti di rinascita nella violenza di genere”, Armando ed. (Marialuisa Vallino, Valeria Montaruli).

Le legge di riferimento è l’articolo 612 bis del Codice penale, introdotto nel 2009 e che può essere applicata in tutti quei contesti in cui sia posta in essere un’attività insistita in grado di generare inquietudine in chi la subisce. Deve essere punito ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 612 bis c.p. chi molesta ripetutamente i condomini di un edificio in maniera tale da provocare agli stessi uno stato di ansia.

Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte Cassazione con la sentenza n° 20895 del 25 maggio 2011 e ribadito, tra le altre, con Cass. n. 3993372013; con Cass. n. 45648/2013. Lo stalking condominiale si configura come un insieme di atti ripetuti volti ad arrecare volontariamente ad uno o a una pluralità di condomini un disturbo intollerabile per un periodo prolungato di tempo, tale da condizionarne la vita di tutti i giorni. Le azioni volontarie e reiterate sono elementi che costituiscono lo stalking mentre il condominio costituisce il locus commissi delicti. A consacrare l’esistenza del cosiddetto reato di stalking condominiale è stata la Cassazione con la sentenza n.26878 del 30 giugno 2016, preceduta da altre sentenze. Tale reato permanente si verifica se un condomino perseguita e molesta i vicini di casa con atti persecutori reiterati. La vicenda giudiziaria da cui trae origine tale recente decisione ha avuto come protagonista un cittadino che, esasperato dal proprio vicino, decide di querelarlo più volte. Le varie querele erano determinate da una “reale esasperazione” provocata dai comportamenti del condomino che avevano costretto la vittima ad assentarsi dal lavoro, ad assumere psicofarmaci. Di qui, la condanna della custodia in carcere nei confronti dell’imputato per il delitto ex articolo 612 bis c.p 

Purtroppo, alcune persone, di fronte ad un appunto sulla correttezza delle proprie abitudini, anziché fare un po’ di autocritica, chiedere umilmente scusa e cambiare atteggiamento, hanno la reazione inversa ed i rumori assumono la forma di vere e proprie persecuzioni (e quindi si può parlare di stalking condominiale).
In questo caso, la reazione dell’ordinamento giuridico è molto forte, con conseguenze sanzionatorie di non scarsa rilevanza. L’illecito costituito dalla perpetrazione di atti persecutori si presenta per chi ne rimane vittima, come fatto che è titolo per chiedere il risarcimento del danno. In particolare è dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale, in relazione ad un reato che colpisce direttamente la sfera della libertà morale della persona, la sua quiete, la sua tranquillità, l’ordinarietà dei suoi comportamenti e l’ambito dei sentimenti e degli affetti.

Spesso, chi subisce, è costretto ad affrontare un percorso esterno (iter‐legale) e interno (elaborazione psichica) lungo e difficile; si tratta di eventi particolarmente traumatici o comunque ansiogeni  che incidono negativamente sullo stato di salute globale, con modificazioni in senso peggiorativo dell’equilibrio psicologico e dello stile di vita relazionale/affettivo.

Nella valutazione del danno alla persona, gli illeciti e i reati si configurano come eventi psicosociali stressanti che possono generare un trauma di natura psichica. Alcune ricerche, infatti, mostrano che il rumore attiva il sistema endocrino e simpatico provocando cambiamenti fisiologici acuti che sono identici a quelli che intervengono in risposta ad un generico stress.

Lo psicologo forense è lo specialista più idoneo per la valutazione del danno psichico e da pregiudizio esistenziale, avendo fra le sue competenze la possibilità di effettuare diagnosi con strumenti di indagine, quali il colloquio clinico e i test appropriati, ai fini dell’accertamento e la valutazione del danno (come consentito e disposto dall’art. 1 della legge n° 56/89).

Marialuisa Vallino

Per approfondire:

“Noise pollution: non-auditory effects on health” by Stephen A. Stansfeld and Mark P. Matheson, Department of Psychiatry, Medical Sciences Building, Queen Mary, University of London, London, UK.

ORDINE DEGLI PSICOLOGI DEL LAZIO, “LINEE GUIDA PER L’ACCERTAMENTO E LA VALUTAZIONE PSICOLOGICO‐GIURIDICA DEL DANNO BIOLOGICO‐PSICHICO E DEL DANNO DA PREGIUDIZIO ESISTENZIALE. PREDISPOSIZIONE DI UNA SPECIFICA TABELLA DEL DANNO PSICHICO E DA PREGIUDIZIO ESISTENZIALE.”

SLEEP DEPRIVATION INCREASES SERUM LEVELS OF NSE AND S-100B

Tra fede e coraggio: quell’altro modo di vivere

Lettera: Gentilissima dottoressa Vallino, sono una donna decisamente provata, ma con una voglia di lottare che comincio a valutare seriamente come una tendenza patologica. Mi chiedo: perché affannarsi a sperare in un destino migliore, perché aggrapparsi con tenacia a dei valori familiari, amicali, affettivi, di civiltà, mentre intorno c’è un’umanità che se ne frega di tutto e di tutti? Mentre io mi adopero per assicurare un futuro migliore a mia figlia, il mio ex marito (un adolescente eterno) passa il suo tempo ad assecondare i bisogni dei genitori e a commentare su facebook i post dei suoi amici che vertono su ogni genere di virtualità. Una realtà, questa, cui mia figlia, nostra figlia accede (…). La vita è tutto questo, probabilmente, e io vivo su Marte, convinta come sono che le cose non si possano cambiare attraverso sterili discussioni, attraverso modalità di autocompiacimento. Mi chiedo e le chiedo se sia possibile alzarsi dal letto a mezzogiorno e perdere tempo con chiunque, anziché rimboccarsi le maniche per gettare le premesse di una vita migliore. Sembra che la principale occupazione dei miei coetanei sia quella di muovere critiche a chi sale o scende da un luogo di potere. Mi arrangio come posso, non avendo ricevuto beni di alcun genere, non mi piace l’idea di colpevolizzare qualcuno per la mancata realizzazione dei miei progetti, non invidio nessuno, ma probabilmente sono malata; malata di fede e armata di coraggio. Questa è la conclusione cui sono giunta, attraverso un dolore consapevole, per il quale non esiste un farmaco, men che meno un’ideologia politica risolutiva. Ho fede e questo in senso religioso oltre che interiore, perchè credo che esista, anche per il male che riceviamo, una legge superiore alla nostra umana volontà. Mi associo alla provocatoria esposizione del lettore che lei definisce “un diamante che brilla nella polvere” e la prego di pubblicare questa mia, non perché mi ritengo un oggetto prezioso, ma perché lo strato di polvere sta diventando una regola di vita, una piaga sociale che non ammette eccezioni, e a quanto ho imparato, la diversità dalla “norma” collettiva sconfina nella patologia. La ringrazio sentitamente e spero di poter ricevere un suo parere. A. G.

Risposta: Gentile lettrice, mi perdoni per il ritardo con cui rispondo alla sua lettera, che pubblico parzialmente e con riferimento ai suoi contenuti (da me ritenuti) di pubblico interesse. La sua storia personale riceve empaticamente il mio sostegno, di donna, di professionista, e probabilmente anche di “marziana”. Come potrei non condividere le sue riflessioni sulla vita, io che sostengo, da sempre, l’approccio dialogico, il contatto fecondo con se stessi e con gli altri? Esiste sicuramente la possibilità che il tempo fornisca a ciascuno di noi la risposta giusta al momento giusto, e anche in riferimento a ciò che, in una particolare fase della vita, sembra travolgerci. Ritengo che le persone animate da impulsi distruttivi siano spesso incapaci di prendere coscienza dei propri conflitti, ma ritengo anche che non si possa a lungo fuggire da se stessi. Il rifugio nel virtuale è senza dubbio un fenomeno di cui tener conto, un meccanismo spesso derivante da un’incapacità strutturale, perché è più facile ricevere approvazione e consenso quando si può selezionare l’area espressiva, accogliere o rifiutare un determinato contenuto, e comunicare seguendo i propri bisogni del momento. Nella vita, quella di tutti i giorni, le infinite sollecitazioni ambientali ci obbligano ad assumere l’impegno di una partecipazione attiva, a compiere delle scelte, ad entrare in sintonia o in aperto contrasto con qualcuno o qualcosa, in una dimensione reale. Ci sono scelte non procrastinabili, che, nel bene e nel male, conferiscono senso alla nostra vita nella misura in cui sono in grado di produrre effetti concreti. Effettivamente, si perde molto tempo a commentare l’ascesa o la caduta di altri, e non solo sui social network, mentre si dedica poca attenzione alle conseguenze provocate dalle proprie azioni, all’assunzione responsabile di se stessi. Il coraggio di vivere, a mio avviso, non si esprime attraverso il consenso o il dissenso manifestato attraverso un post né aggredendo inutilmente gli altri. Citando Göethe, “chi è nell’errore, compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza”. L’autenticità passa inevitabilmente attraverso quel dolore consapevole cui lei accenna, e non può prescindere da una contatto dialogico con gli altri. Che si tratti di vicinanza/distanza ideologica o affettiva, l’efficacia di una comunicazione rischia infatti di esaurirsi in una cornice virtuale, se non è supportata da evidenze concrete. Io non credo affatto che lo strato di polvere possa coprire totalmente, inesorabilmente, la fede e il coraggio di chi, come lei, non ha voglia di omologarsi. Non sono forse simili ai diamanti le azioni di persone che agiscono perseguendo una propria legge interiore, che sono in grado di guardare in se stesse anziché proiettare sugli altri i propri desideri o misconoscere le proprie frustrazioni? Io credo che la cosiddetta “normalità” non possa in alcun modo essere collocata in rigide classificazioni, ma mi piace credere nel valore dell’Individuo, che afferma se stesso secondo un principio di unicità, e sostengo la causa dell’agire responsabile che dovrebbe manifestarsi nel pieno rispetto di sé come degli altri. Ogni deviazione da questo principio, non fa che aumentare conflitti e stati di sofferenza. Forse la patologia si situa in quest’area.

Psicoterapia e meditazione

Domanda completa: Sono in psicoterapia e le cose vanno molto bene col mio analista. Sono molto attratta dalle tecniche meditative, anche a seguito delle risultanze scientifiche sulla materia. Il mio quesito è questo: Intraprendendo anche questa strada, la psicoterapia perderebbe la sua efficacia? Grazie, Elena

Risposta: Per correttezza, non posso invadere un “campo psicologico” così delicato…Ritengo che lei debba parlare di questo col suo analista. Secondo la mia esperienza, le due pratiche possono integrarsi perfettamente.

La negazione del femminile

Dove è finito l’uomo che amava le donne?
Domanda completa: Lei parla dell’archetipo Afrodite, con riferimento alle infinite sfaccettature dell’essere donna, ma che dire del maschile, in particolare il maschile che non riesce ad entrare in sintonia con una donna se non attraverso l’uso del potere, o con l’inganno, l’astuzia? Dov’è finito l’uomo che amava le donne? F.

Risposta: Gentile signora, se si riferisce a “La cintura Di Afrodite”, nel libro descrivo dettagliatamente, attraverso le varie figure mitologiche, come una particolare forma di “culto” possa indebolirne un’altra. Il bisogno di dominare è sempre l’espressione di una mancanza, che, come ho più volte rilevato, ha radici profonde. La cultura umana, dai tempi più antichi, ha prodotto miti e archetipi in grado di indicare le vie “misteriose” dell’esistenza, compreso il senso di smarrimento che la donna suscita in un uomo. In molti casi, il femminile viene vissuto non come una risorsa (secondo il suo significato ancestrale), ma come una minaccia all’integrità dell’Io. Accettare l’altro da sé, ma soprattutto l’altro in sé è un percorso difficile, doloroso. Eroico. Confrontarsi autenticamente con una donna (o con un uomo) significa scegliere un cammino fatto di conquiste iniziatorie più che adagiarsi nelle proprie certezze o rinchiudersi nel proprio guscio narcisistico. Il percorso di crescita si svolge, a mio avviso, secondo uno scambio osmotico tra maschile e femminile che permette di affermare la dignità dei sentimenti e delle relazioni affettive e di conferire senso all’appartenenza sociale. La violenza, connessa al potere, ha le sue radici profonde in un processo di alienazione. Alcune forme di comunicazione, poi, in cui il virtuale sostituisce ogni scambio autentico, non sono altro che maldestri tentativi di manipolare gli altri, di sperimentare le proprie abilità di seduttori polimorfi per poi approdare nel nulla. L’uso della frode, la mistificazione come stile di vita, ci parla di un’incapacità: quella di rapportarsi in modo dialogico col femminile, preferendo al contatto fecondo, i miti e i riti della prevaricazione. L’incontro non è più un processo alchemico, ma un amplesso mortifero, e l’alterità, annullata, viene inesorabilmente asservita ai bisogni personali…

Un diamante brilla anche nella polvere…

Domanda completa: Ho avuto modo di ascoltare un suo intervento incentrato sull’analisi e mi ha colpito il modo di considerare il dolore, l’attenzione cioè a quegli aspetti che lei ritiene non patologici, ma espressione di una “originalità”, mi passi il termine, che va preservata, anche a costo di entrare in contrasto col resto del mondo. Mi spiego meglio: Se non ho capito male, l’obiettivo terapeutico non è tanto la cura della sofferenza, ma il superamento di un conflitto, o (interpreto le sue parole) il recupero di qualche cosa che rende l’individuo “scisso”, o lontano dalle sue basi “naturali”. Ma c’è ancora spazio, da qualche parte, per chi ha il coraggio di essere se stesso, per chi non accetta l’ideologia della menzogna, e per chi a malapena riesce ad alzarsi dal letto, al mattino, certo che dovrà combattere la sua quotidiana battaglia contro i soprusi, o la superficialità nei sentimenti e nell’agire? Sono stato in analisi, come tanti, e mi sembrava che solo lì fosse possibile “essere”, ma io vivo dove quello che sono non paga. Perché se sei sensibile, o lo sei troppo, sei tagliato fuori, massacrato, e se sei sincero, prima o poi qualcuna o qualcosa ti fa sentire persino in colpa per questo…A quarantasei suonati sono single, convinto, o forse indotto dalle circostanze a non cercare legami, dopo esser stato liquidato via sms dall’unica a cui mi ero dato senza riserve. Questo è il punto e questa la domanda: Ritiene che in analisi ci debba andare (e sono disposto a tornarci) io, o tutti gli altri che feriscono, aggrediscono, passano come treni sui binari della vita, senza porsi troppi dubbi?  La ringrazio se vorrà rispondermi. F.

Risposta: Innanzitutto, la ringrazio per avermi fornito l’occasione di affrontare uno dei temi a me più cari: l’autenticità. Ritengo che il suo caso non sia tanto l’espressione di una dolorosa, dignitosa “individualità” costretta a fare i conti con una realtà antipodica rispetto alle emergenze del suo Sé, quanto piuttosto il risultato di un’estensione “in negativo” di un vissuto esperienziale, che la induce a ritenere che tutti (cito testualmente le sue parole) aderiscano all’ideologia della menzogna, o dell’agire superficiale.  Per fortuna, tanto sua quanto di altri, non sono poche le persone che avversano i soprusi, le mistificazioni, e a loro dovremmo (tutti) dedicare le nostre energie, non certo a coloro i quali possono “permettersi” di liquidare una relazione via sms. Se mi segue, saprà anche cosa penso della dimensione amorosa e delle sue modalità di attuazione. Single o in coppia, lo ribadisco, andrebbe sempre preservato, anzi coltivato, quel nucleo inviolabile che consente la sana espressione di se stessi. Colgo la sottile provocazione, e le confermo quanto già ha intuito: quelli che passano come treni sui binari affettivi, quelli che feriscono i sentimenti altrui e quelli che non si pongono troppi quesiti sul proprio agire, non li vedremo mai, noi analisti…Credo che il fatto stesso di “mettersi in discussione” sia un grande segno di maturità emotiva, e tanto dovrebbe bastarle per prendere le distanze da chi evidentemente non può farlo. Per contrastare gli effetti negativi della storia “così” conclusasi, dovrebbe lei per primo credere che da qualche parte, e non solo nello spazio terapeutico, esista una donna disposta ad accogliere la sua sensibilità. Il mattino non è solo l’inizio di un giorno di battaglia, ma è anche apertura verso il nuovo, se può, come dice Borges, procurarci anche solo l’illusione di un principio. Quanto al dolore, se ben elaborato, consente all’uomo di trasformare la sua “ferita” in una risorsa.  Un consiglio: Non si chiuda in se stesso. La “sensibilità” di cui lei parla va condivisa e diffusa. Quanto al suo “modo di essere”, non passerà inosservato: è come un diamante: brilla anche nella polvere…

Condotte egocentriche ed antisociali: Evidenze psicopatologiche nella vita quotidiana

Rispondo a due lettrici, integrando la mia esperienza, in merito al (mal)funzionamento interpersonale ovvero l’incapacità di entrare in contatto con gli altri con presupposti e modalità pro-sociali. Doverosa premessa agli esempi che seguiranno è la definizione del funzionamento del Sé personale e interpersonale, le cui alterazioni costituiscono il nucleo psicopatologico dei disturbi di personalità. Il Sé e l’identità sono il frutto di una interazione che mette in relazione l’individuo con se stesso e con l’insieme di rappresentazioni della realtà circostante. Un funzionamento adattivo implica la capacità di autodeterminarsi, di accedere alle proprie esperienze emotive, di perseguire in modo coerente obiettivi esistenziali, di uniformare la propria condotta a standard interni di comportamento costruttivi. Con riferimento all’altro da sé, un buon livello d’integrazione personale consente anche di comprendere e valutare l’esperienza e le motivazioni altrui, di tollerare le prospettive differenti, di ri-conoscere gli effetti del proprio comportamento, di essere in grado di mantenere un profondo e duraturo rapporto con gli altri, stabilendo una vicinanza e un comportamento improntati al rispetto reciproco. Senza addentrarci nel dettaglio nosografico-descrittivo, è opportuno ricordare che alterazioni a carico del Sé, variamente associate ad incapacità a riconoscere e conformarsi al comportamento sancito dalla legge ed etico, possono rientrare in un quadro personologico caratterizzato da inosservanza e violazione dei diritti degli altri. Ad un esame profondo, l’egocentrica, insensibile mancanza di preoccupazione per gli altri, l’incapacità di riconoscere i loro bisogni e la tendenza alla mistificazione, sono aspetti tipici di una “visione autocentrata del mondo”. La discriminazione accusatoria verso chi osa comportarsi, pensare, esprimersi in modo differente da se stessi è il riflesso di tale labile impostazione identitaria e relazionale. Questo ha un’evidenza quotidiana a tutti i livelli d’interazione: Riporto le testimonianze in forma di quesiti, provenienti da chi s’interroga sul senso di alcune condotte o viene fortemente limitato nei propri diritti: -Perché i figli non hanno più alcuna forma di rispetto per i genitori o gli insegnanti?- E’ sano di mente chi sfida quotidianamente la pazienza altrui? Chi, sordo ai richiami, continua a vivere secondo regole tanto personali quanto “selvagge”?- E che dire degli attacchi che dobbiamo subire se solo ci permettiamo di sottolineare la sconvenienza di alcuni comportamenti?- Ritengo che la scarsa considerazione degli altri stia diventando una regola di vita più che un’eccezione deplorevole. Se l’assenza di empatia, la falsità, l’irresponsabilità o la manipolatività, possono essere indicativi di una personalità connotata in termini patologici, è pur vero che tali tendenze vengono sostenute, diventando vere e proprie regole, in contesti che antepongono al valore del rispetto di sé e degli altri, una visione del mondo e uno stile di vita fondati sul bisogno di potere. Quanto più vacilla la personalità, tanto più emerge l’ambizione smisurata, il desiderio di sopraffazione. In effetti, sono tante le circostanze che costringono l’individuo a confrontarsi con una realtà particolarmente difficile, che osteggia ogni forma di benessere mentale. Se inconsapevole, il mancato riconoscimento degli altri e dei loro bisogni, deve essere necessariamente collocato in una dimensione autoreferenziale, narcisistica. Le condotte di portata antisociale poi, si insinuano in ogni piega del vivere quotidiano: Rapporti intrafamiliari improntati alla violenza verbale e fisica, contesti condominiali senza regole, rapporti professionali scorretti, relazioni affettive inautentiche, ci raccontano un dramma derivante dal bisogno dell’uomo di conformarsi e di aderire ad un universo collettivo di riferimento ormai lontano da ogni forma di rispetto. D’altra parte, è sufficiente leggere le pagine di cronaca per ricevere un quadro descrittivo preciso delle infinite declinazioni patologiche e criminologiche cui impotenti assistiamo. Lo sviluppo psicologico si fonda su un lavoro di integrazione personale che non può escludere i nostri tratti contorti, le nostre ambivalenze, la nostra aggressività, le nostre paure, ma che non può e non deve tradursi in un assalto all’altrui libertà. A volte manifestare la propria “diversità” o esprimere il proprio dissenso rispetto a tali condotte significa imbattersi in una squalifica, ricevere un torto ulteriore, vivere sentimenti di inadeguatezza che possono nel tempo manifestarsi in un eccesso di impotenza e frustrazione benché derivanti dal bisogno legittimo di affermare se stessi e i propri diritti. C’è poco da fare, temo, contro chi si ostina a coprire la bellezza della vita con la protervia. In più, il proprio modo di essere viene misconosciuto, e la responsabilità del proprio (mal)agire viene distorta, a scapito degli altri. In questi casi, quando tutto si dimostra inefficace, non può esistere che il rifugio in una dimensione estetica, il kosmos caratterizzato da bellezza e azione, che nessun comportamento incivile o insensibile, potrà distruggere… Il tempo che dedichiamo all’armonia, in tutte le sue forme, è nostro nella misura in cui esclude “a priori” una “certa” realtà umana. Quando tutto viene a mancare, in quell’ordine interiore, sede stabile del Sé, si può ancora coltivare l’illusione di vivere in un “tempio protetto”, tentando di riconquistare l’autonomia mutilata e quell’agognata libertà originaria che viene strappata all’uomo nel suo vivere in società con altri individui. Mi vengono in mente le parole di Sartre: « l’enfer c’est les autres ».

O tu che se’ per questo ’nferno tratto…

Domanda: Come vanno interpretati i comportamenti incivili, le offese che giungono ai nostri sensi dal quotidiano rapporto di vicinanza con persone scorrette che rendono invivibile la vita? Come difendersi da chi ci sveglia alle prime ore del mattino, se non addirittura di notte, producendo rumori d’ogni sorta, pur consapevole che la legge prevede quale illecito civile, e quale violazione penalmente sanzionabile le emissioni moleste? E’ sano di mente chi sfida quotidianamente la pazienza altrui? Chi, sordo ai richiami, continua a vivere secondo regole tanto personali quanto “selvagge”? E che dire degli attacchi che dobbiamo subire se solo ci permettiamo di sottolinearne la sconvenienza? Un sostenitore della pace.

Risposta: Ritengo che l’inciviltà, soprattutto quella condominiale (cui lei sembra alludere) stia diventando una regola di vita più che un’eccezione deplorevole. E questo è particolarmente vero in contesti che antepongono al valore della cultura, una visione e uno stile di vita fondati sul bisogno di potere. Quanto più vacilla la personalità, tanto più emerge l’ambizione smisurata, il desiderio di sopraffare gli altri. In effetti, sono tante le circostanze che costringono l’individuo a confrontarsi con una realtà particolarmente difficile, che osteggia ogni forma di benessere mentale. Se inconsapevole, il mancato riconoscimento degli altri e dei loro bisogni, deve essere necessariamente collocato in una dimensione autoreferenziale, narcisistica. Le condotte di portata antigiuridica poi, si insinuano in ogni piega del vivere quotidiano. Ritengo che i comportamenti molesti siano il risultato di un “meccanismo rispecchiante” derivante dal bisogno di conformarsi e di aderire ad un universo collettivo di riferimento ormai lontano da ogni forma di rispetto per l’altro. D’altra parte, è sufficiente leggere le pagine di cronaca per ricevere un quadro descrittivo preciso delle infinite declinazioni patologiche e criminologiche cui impotenti assistiamo. Lo sviluppo psicologico si fonda su un lavoro di integrazione personale che non può escludere i nostri tratti contorti, le nostre ambivalenze, la nostra aggressività, le nostre paure, ma che non può e non deve tradursi in un assalto all’altrui libertà. A volte manifestare la propria “diversità” o esprimere il proprio dissenso rispetto a tali condotte significa imbattersi in una squalifica, ricevere un torto ulteriore, vivere sentimenti di inadeguatezza che possono nel tempo manifestarsi in un eccesso di impotenza e frustrazione benché derivanti dal bisogno legittimo di affermare se stessi e i propri diritti. C’è poco da fare, temo, contro chi si ostina a coprire la bellezza della vita con la protervia e il rumore. In questi casi, quando anche la legge si dimostra inefficace, non può esistere che il rifugio in una dimensione estetica, personale, che nessun comportamento incivile potrà distruggere…Le dedico i brani che ho raccolto sommessamente nella mia pagina “La sponda poetica, del morire e rinascere in-versi”. Certamente la poesia non risolverà il suo problema, ma già sapere che esiste uno spazio sacro e inviolabile, quale antidoto contro i soprusi e il malessere, ci aiuta a dimenticare, in parte, l’offesa quotidiana. Il tempo che dedichiamo alla bellezza e all’arte, in tutte le sue forme, è nostro nella misura in cui esclude “a priori” una “certa” realtà umana. Quando tutto viene a mancare, nelle parole, nella musica e nelle immagini si può ancora coltivare l’illusione di vivere in un “tempio protetto”, tentando di riconquistare l’autonomia mutilata e quell’agognata libertà originaria che viene strappata all’uomo nel suo vivere in società con altri individui. Mi vengono in mente le parole di Sartre: « l’enfer c’est les autres ».