Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, Giornale Storico del CSPL, n.34.

Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, Giornale Storico del CSPL, n.34.

 

 

 

Marialuisa Vallino, articolo: Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, pag. 82 del Giornale Storico del CSPL, fondato da Aldo Carotenuto, n. 34-Mutazioni-

ABSTRACT

Mutazióne è un termine con cui si designa il mutare, il mutarsi, l’essere mutato ed implica il cambiamento, la trasformazione. La metamorfosi riguarda il mutare forma, aspetto connesso alla figura mitologica di Proteo, le cui caratteristiche sono: svelare la verità e mutare aspetto. Il sognatore e il regista condividono con Proteo la capacità di ricreare, di aprire la realtà immaginale alla sfida del mutamento. L’immagine non si identifica con un singolo contenuto, ma si ritrova in ogni altro contenuto, così come l’attività immaginativa non è una fuga dalla realtà, ma un’esperienza vivificante che può sia ‘informare’, sia ‘trasformare’ la coscienza. La nascita contemporanea del Cinema e della Psicoanalisi, alla fine del XIX secolo, ha contribuito a determinare, sin dal principio, un dialogo incessante tra le due ‘discipline’ e il presente articolo ne sottolinea il legame. I riferimenti agli aspetti inconsci sono presenti nelle opere cinematografiche in modo più o meno esplicito, basti pensare al tema del “Doppio” e alle sue modalità rappresentative. Il cinema, inoltre, ha spesso usato il sogno come espediente ‘esplicativo’ o vero punto di partenza per la trama. Immagini e rappresentazioni sono concetti interrelati e connessi al divenire, al perenne fluire della psiche. Accanto al carattere ‘onirico’ della visione filmica, è possibile rintracciare il carattere ‘filmico’ della visione onirica. I sogni presentano numerose corrispondenze con le immagini dei film. Il mio contributo illustra l’attività creativa connessa alla dimensione immaginale che nel sogno come nel cinema si sviluppa a partire da quella ‘chiamata’ all’avventura che caratterizza anche l’eroe del mito. Molte storie cinematografiche possono essere analizzate ricorrendo al paradigma del monomito individuato da Campbell che si inserisce come trait d’union tra mitologia e cinema. La potenza delle immagini si accentua nella misura in cui vengono in luce determinate situazioni archetipiche che al di là del tempo e dello spazio mettono in scena la complessità della vita e i suoi sviluppi. Per certi versi, il cinema è in grado di creare veri e propri modelli di eroi e antieroi, quali ‘mutazioni’ da motivi archetipici.  Ho dedicato particolare attenzione al cinema noir, la cui cifra distintiva rappresenta l’altrove, non di rado connotato in termini orrorifici; il dubbio e la paura connessi all’Altro, gli aspetti inquietanti che si celano al di là del visibile, l’angoscia del limite e gli aspetti oscuri che ciascuno reca dentro di sé sono motivi che attengono alla sfera individuale, ma anche collettiva.

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n.33.

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n.33.

Marialuisa Vallino, articolo: Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, pag. 88 del Giornale Storico del CSPL, fondato da Aldo Carotenuto, n.33-Attraversare-

 

ABSTRACT

L’articolo esamina le caratteristiche dell’Anoressia, un disturbo che vede corpo e psiche legati da una potenza disgregante e mortifera. Il corpo, sottratto al dominio delle pulsioni, diviene il simulacro di una illusoria perfezione e l’individualità scompare dietro un’oscura sofferenza, eclissando il Sé. Dopo una disamina delle caratteristiche cliniche, vengono illustrati i possibili significati sottesi all’espressione patologica, con attenzione allo sfondo mitico che comprende i ‘misteri’, preludio alla rinascita e al disvelamento delle potenzialità creative insite nella psiche. Particolare importanza riveste il concetto di ‘limite’, insito nella patologia anoressica, per i suoi risvolti in termini identitari e relazionali. Alcune figure mitologiche, quali Kore/Persefone, connessa a Demetra, e la ninfa Eco, connessa a Narciso, illustrano alcune dinamiche psichiche. L’attraversamento del confine, l’avventura che dal mondo supero si sposta a quello infero è un percorso ineludibile, connesso ad un’esigenza trasformativa. In accordo con la Psicologia analitica di Jung e la Psicologia archetipica di Hillman, la struttura immaginale della psiche è analoga a quella del mito e spesso compare il tema della catàbasi; la discesa agli inferi è una discesa nell’inconscio e l’individuo deve confrontarsi con le immagini in esso contenute. Nell’oscurità della patologia c’è anche la possibilità di uno ‘svelamento’ del Sé, l’apertura al divenire creativo della vita, come nel caso della poetessa Louise Glück, Nobel per la Letteratura 2020 ed ex ragazza anoressica.

 

 

L’accertamento peritale in relazione all’imputabilità e pericolosità sociale

L’accertamento peritale in relazione all’imputabilità e pericolosità sociale

L’accertamento peritale in relazione all’imputabilità e pericolosità sociale in soggetti di maggiore età [1]

Secondo il Codice penale (art. 85): “E’ imputabile colui che ha la capacità di intendere e volere”, pertanto ci si riferisce alla capacità, da parte del soggetto, di rendersi conto del valore sociale degli atti compiuti. La colpevolezza costituisce il presupposto per l’applicabilità della pena.

Il Giudice può, in fase di cognizione od esecutiva, in base alla natura dei quesiti, incaricare un esperto psicologo o psichiatra ed autorizzarlo a svolgere accertamenti su un indagato, imputato o condannato.

Esempi di quesiti in ambito penale:

“Dica il perito se l’imputato, in relazione alla patologia dalla quale, stante la documentazione acquisita, è affetto, sia capace di stare in giudizio”;

“Dica il perito, utilizzando tutti gli strumenti diagnostici a sua disposizione, se l’imputato fosse capace di intendere e di volere al momento del fatto, tenuta presente la natura del reato a lui contestato” (l’imputabilità deve sussistere al momento della commissione del fatto; non importa che essa venga meno dopo, o non ci fosse in un momento antecedente [Cass. 21826/2014]);

“Dica il perito se l’imputato sia da considerarsi socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 203 c.p., se cioè appaia probabile che nel futuro commetta fatti preveduti dalla legge come reati” (L’articolo 203 c.p. definisce il delinquente pericoloso […] la persona che, anche se non imputabile o non punibile, ha commesso taluno dei fatti indicati, ed è probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reati).

Il perito: il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti in appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina (art.221. 1. c.p.p). L’accertamento delle condizioni psichiche del periziando, se da un lato deve fornire indicazioni precise su facoltà quali (ad es.) la comprensione degli eventi processuali, dall’altro deve essere “ricollocato” in una dimensione temporale ben precisa, il momento del fatto, e la personalità deve essere valutata non solo nell’hic et nunc, ma anche in relazione a comportamenti messi in atto in passato e ad altre manifestazioni che abbiano un valore predittivo. Diagnosi categoriale” e “funzionale” sono due aspetti complementari ma distinti che non debbono essere confusi l’uno con l’altro o riassorbiti l’uno nell’altro. Occorre precisare che in termini psicopatologici o criminologici il comportamento umano viene comunemente identificato come conforme, difforme, deviante, delinquenziale, patologico ed analizzato secondo i sistemi nosografici categoriali più accreditati. Il comportamento di un individuo, in termini strettamente psicologici, è espressione del suo funzionamento in un preciso contesto esistenziale e in un determinato periodo della sua storia individuale, ma è anche rivelazione del suo “stile di vita”, unitario e coerente con aspetti strutturali, organizzativi e funzionali del suo “essere nel mondo”. L’insieme di sintomi e di segni presentati dal soggetto (e annotati dall’osservatore) sono i mezzi, gli strumenti, le strategie che il soggetto traduce in comportamenti e attraverso i quali manifesta il suo stile di vita, il suo funzionamento. L’infermità (da in-firmus = non-fermo) in senso psicopatologico-forense non individua un “disturbo mentale”, ma i riflessi di questo sul funzionamento psichico del soggetto e quindi sul suo comportamento. L’accertamento peritale di un individuo deve necessariamente avvenire attraverso la raccolta di dati anamnestici, l’analisi del comportamento verbale e non verbale, l’esame delle varie funzioni e il loro impatto sulla realtà esterna, e non può quindi essere effettuato solo sulla presenza/assenza di determinati sintomi. A tale proposito, occorre puntualizzare che sul piano psicodinamico un sintomo ha non solo una sua ‘peculiarità’, ma è da considerarsi l’espressione simbolica di una particolare costellazione interna che, in quanto ‘personale’, può rendere adattiva/disadattiva la risposta dell’individuo alle richieste provenienti dall’ambiente esterno. “Individuo”, etimologicamente, presuppone la capacità di essere in-diviso, ma paradossalmente la ricerca di unità e autenticità individuale si scontra con la pressione verso l’omologazione, l’identità collettiva. Ecco allora il disagio, il disadattamento, la “malattia”, l’incapacità talvolta manifestata nel definire se stessi in relazione alla realtà esterna. Intendere e volere, seppur da ritenersi come capacità disgiunte, diventano i due parametri che permettono di a) comprendere in che modo e misura esista una differenziazione tra sé e non sé, nonché b) di cogliere il valore adattivo e flessibile delle azioni. Al termine “normale” è preferibile quello di “funzionale”; per quel che attiene all’ambito criminologico, gli esperti si trovano a dover formulare giudizi in merito alla presenza o meno di un disturbo che possa aver provocato in un autore di reato un comportamento criminoso, o sulla eventualità che lo stesso individuo possa compiere in futuro gesti pericolosi.

La capacità di intendere: 

E’ l’attitudine del soggetto a conoscere la realtà esterna, ciò che si svolge intorno a lui e di cogliere il valore sociale positivo o negativo dei suoi atti; essa presuppone l’idoneità psichica di comprendere o discernere le proprie azioni od omissioni ed i motivi della propria condotta.

La capacità di volere: 

E’ l’attitudine del soggetto a determinarsi in modo autonomo, a scegliere tra i motivi coscienti in vista di uno scopo, a comportarsi coerentemente con tale scelta (maturata al vaglio dei poteri di critica e di giudizio), resistere agli stimoli d’avvenimenti esterni ovvero capacità di auto-inibirsi. In estrema sintesi, la persona deve essere valutata in relazione alla sua sfera cognitiva, affettiva e volitiva.

L’accertamento dell’imputabilità avviene generalmente in un tempo significativamente posteriore al momento del fatto reato. Si fa divieto di uno studio psicologico sulle caratteristiche di un individuo “sano” ovvero sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (c.d. “divieto di perizia”, art. 220 c.p.).

Si riportano di seguito i criteri valutativi comunemente utilizzati per l’accertamento delle capacità su menzionate e di solito indagate in ambito penale:

Secondo Roesch, Zapf e Hart (2010) la competenza a stare in giudizio può essere definita come la capacità dell’imputato di comprendere i procedimenti legali a suo carico e di essere pertanto in grado di assistere e partecipare alla sua difesa.

Elementi per la valutazione della capacità di stare in giudizio:

  • Comprensione del procedimento giudiziario per i reati contestati,
  • comprensione della portata antigiuridica ed etica dei reati di cui il soggetto è imputato,
  • possibilità di rispondere a domande, di colloquiare e di collaborare alla propria difesa,
  • assenza di deterioramento mentale e/o deficit mnesici (di natura organica),
  • assenza di un’infermità mentale che infici le “potenzialità” difensive,
  • assenza di disturbi somatici che possano compromettere le capacità mentali,
  • esame di realtà non compromesso (la presenza dell’esame di realtà è necessaria alla volontà e pianificazione del passaggio all’atto),
  • capacità di critica e giudizio non deficitarie.

Elementi per la valutazione della Pericolosità Sociale (rientra in due momenti diversi del procedimento penale: nella fase di cognizione ed in quella esecutiva)

  • Diagnosi: carattere cronico o acuto del disturbo e sua espressività,
  • destrutturazione della personalità,
  • eloquio e comportamento disorganizzati,
  • correlazione tra disturbo e comportamenti criminosi,
  • progressione nelle condotte auto ed etero-distruttive,
  • caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale.

(Elementi di) Predittività: 

  • Progressione/remissione delle condotte antisociali,
  • “compliance” (alta/bassa) ai protocolli di cura,
  • possibilità/impossibilità di effettuare terapie farmacologiche ed usufruire di cure specialistiche, di supporto socio-assistenziale,
  • fattori “ambientali”, quali ad es. il contesto deviante,
  • presenza/frequenza/assenza di comportamenti aggressivi e/o reati pregressi,
  • presenza/assenza di episodi recenti o pregressi di violenza,
  • presenza/assenza di uso/abuso di sostanze,
  • presenza/assenza di danni neurologici.

Tra i Fattori Predittivi di Violenza rientrano:

  • Idee di violenza (soprattutto desideri di aggressività, sentimenti di avversione nei confronti di una persona specifica),
  • osservazione del comportamento del periziando durante il colloquio (soprattutto: crescendo progressivo dell’attività psicomotoria; aggressività verbale, turpiloquio, disconoscimento dell’autorità dell’operatore),
  • scarso controllo pulsionale.

Secondo Ugo Fornari “un giudizio di pericolosità sociale psichiatrica può basarsi: 1) sulla presenza di una sintomatologia psicotica molto florida e riccamente partecipativa a livello emotivo, con assoluta assenza di consapevolezza di malattia; 2) oppure sull’accertamento di un grave deterioramento o una grave destrutturazione psicotica della personalità, con o senza pluriricoveri o plurirecidive; 3) notizia di uno o più scompensi comportamentali ravvicinati, sia in senso ‘auto’ che ‘etero’ distruttivi; 4) progressione di gravità nelle condotte di scompenso; 5) scarsa o nulla risposta alle terapie praticate, purché adeguate e purché non si tratti di simulatore; 6) necessità di protezione del malato e della società dagli acting-out che i disturbi psicotici hanno indotto e probabilmente, se non certamente, indurranno” [2].

Il problema della pericolosità sociale in termini psicopatologici è cosa diversa se la si mette in relazione con un reato che contempli la presenza di agiti aggressivi (eterolesivi) di una certa entità o con un reato dove tali agiti non siano affatto presenti o dove il mancato controllo pulsionale non costituisca la “causa” prevalente del fatto-reato. La pericolosità sociale prevista dall’art. 203 c.p., per esempio, non riguarda espressamente la probabilità che il soggetto possa mettere in pericolo la vita altrui, ma concerne la probabilità che egli possa nuovamente commettere un fatto-reato. Per persona socialmente pericolosa può intendersi una persona che può mettere in pericolo i valori della convivenza sociale. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133 – Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena-. Periti e consulenti devono aver ben presente che una cosa è la nozione di pericolosità sociale psicologica/psichiatrica e cosa ben diversa è la pericolosità sociale giuridica, il cui accertamento, nella sua dimensione prognostica, deve rimanere compito di esclusiva spettanza del magistrato. Dopo queste osservazioni, occorre puntualizzare che non esiste una correlazione univoca tra diagnosi e vizio di mente (incapacità). L’infermità giuridicamente rilevante è costituita dalla confluenza di un disturbo funzionale che interagisce con un disturbo mentale, al punto di compromettere in concreto la capacità di autodeterminazione del soggetto, incidendo in maniera rilevante sulle funzioni autonome dell’Io (il “quid novi” o “quid pluris”) e conferendo in tal modo “significato di infermità” all’atto agito o subito (lo stesso ragionamento psicopatologico forense vale infatti anche per la vittima di reato). Il problema che si pone preliminarmente ai fini dell’individuazione della (in)capacità di intendere e di volere non è tanto quello di un corretto inquadramento diagnostico nosografico, ma quello ben più complesso di “funzionamento mentale” e di chiara connessione di questo con il reato. Il rischio di recidiva deve fondarsi sulla persistenza di condizioni personali e sociali agevolanti la criminogenesi. Alcune condizioni psichiche o organiche riducono ma non escludono la capacità di intendere e di volere. E’ cosa differente se il fatto (ad es.) viene commesso in stato di cronica intossicazione da alcool e/o stupefacenti o se l’alterazione psichica indotta dall’assunzione di dette sostanze è preordinata al fine di commettere un reato. Si tratta di un’ ipotesi di actio libera in causa, stato di incapacità preordinata, riconducibile ad un precedente atto di volontà del soggetto, che non fa venir meno la colpevolezza. Relativamente alle dimensioni diagnostiche, con sentenza n. 9163 del 25 gennaio 2005, depositata l’8 marzo 2005, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno stabilito quanto segue: “anche i disturbi della personalità, come quelli da nevrosi e psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli articoli 88 e 89 c.p., sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” e gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente; è inoltre necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo”. Pertanto, in base alla sentenza, un disturbo della personalità, se produce una condotta incontrollabile ed ingestibile, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo sui propri atti, di indirizzarli di conseguenza, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autodeterminarsi liberamente ed autonomamente. Per tale accertamento, il giudice deve procedere avvalendosi del contributo di un esperto e di ogni altro elemento di valutazione e di giudizio desumibile dalle acquisizioni processuali. Come osserva Fornari, anche in presenza di un disturbo di personalità grave, se la genesi (progettazione) e la dinamica (esecuzione) del comportamento criminale indicano che -nello svolgimento complessivo e nel resoconto retrospettivo dello stesso- l’autore ha conservato e conserva, sostanzialmente indenni le aree funzionali dell’Io deputate alla comprensione del significato del suo atto e delle conseguenze dello stesso (funzioni percettive, organizzative, previsionali, decisionali ed esecutive), non si può concludere nel senso dell’esistenza di un vizio di mente. I disturbi di personalità di cui si parla nella citata sentenza devono quindi essere severi al punto da determinare una situazione di assetto psichico “incontrollabile” tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi. Indipendentemente dalla precisazione diagnostica, tanto più grave è la compromissione psichica, meno strutturate le difese, più diffusa l’identità e compromesso l’esame di realtà (c.d. scivolamenti psicotici), tanto più incoordinato e non pianificato sarà il passaggio all’atto, sia nelle premesse, sia nel suo estrinsecarsi, sia nella condotta immediatamente successiva. Il “valore di malattia” o il “significato di infermità” (in connessione al reato) possono ricondursi alla presenza/assenza dei seguenti indicatori:

  • Presenza di fattori stressanti che precedono lo scompenso;
  • frattura rispetto allo stile di vita abituale;
  • evidente sproporzione della reazione;
  • compromissione dello stato di coscienza e presenza di dismnesia;
  • disturbi della percezione;
  • idee deliranti non organizzate;
  • gravi turbe dell’affettività e del tono timico;
  • comportamento disorganizzato.

Il comportamento disorganizzato, in particolare, rientra tra i sintomi identificativi dell’incapacità di intendere e di volere, oltre a costituire un fattore predittivo, insieme alla presenza di agiti aggressivi, della pericolosità sociale in relazione a fatti reati che contemplino un pericolo per la vita altrui.

Aspetti metodologici:

L’esperienza clinica sottolinea di continuo l’impossibilità di riferire con certezza dei quadri sintomatici ad una diagnosi precisa, se non a seguito di ripetuti incontri, perché è la durata dei sintomi che può meglio orientare la diagnosi. Quando occorre valutare certificazioni, senza voler assolutamente dubitare dell’indiscussa competenza professionale di altri, che costituirebbe una violazione dei principi deontologici, alcune note discordanti in ambito diagnostico-terapeutico possono semplicemente essere interpretate come sovrapponibilità di quadri, perché non sempre è possibile far rientrare un quadro sintomatico nei sistemi nosografico-descrittivi. In molti casi, non è possibile effettuare con certezza una diagnosi se il comportamento del soggetto in esame non viene riconosciuto nei termini di una modalità stabile di funzionamento o di una condizione acuta. Laddove si renda necessario individuare nel dettaglio il funzionamento cognitivo, ideativo e affettivo di un individuo, solo la comparazione dei dati di vari test può orientare l’esaminatore nella formulazione del giudizio diagnostico. Preme sottolineare che la psicodiagnostica testistica richiede una lunga formazione e non necessariamente rientra tra le competenze specialistiche dei professionisti delle cure (psicologi o psichiatri o psicoterapeuti). Inoltre, è prassi consolidata che in determinati ambiti la valutazione psicometrica spetti a figura diversa dal perito o consulente (anche se esperto in psicodiagnostica), al fine di garantire allo stesso un’autonomia decisionale nell’analisi generale dei dati. I risultati emersi dai test devono essere equiparati, preferibilmente in fase conclusiva, ad altri indici diagnostici, desunti dai colloqui, proprio per individuare la presenza di concordanze o eventuali discordanze. L’esperto incaricato può avvalersi delle risultanze ai test di livello, di personalità; frequente, in ambito valutativo, per l’accertamento della pericolosità sociale, il ricorso al test PCL-R-Hare Psychopathy Checklist Revised (valutazione della psicopatia), e al HCR-20 V3-Assessing Risk of Violence, per indagare il rischio di recidiva di un crimine violento. Nella formulazione dei suoi giudizi, il perito deve tentare di ricondurre i dati emersi verso un quadro descrittivo del funzionamento mentale/comportamentale del periziando in vista della risposta ai quesiti posti.

Marialuisa Vallino

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[1] L’imputabilità del minore è subordinata ad un criterio cronologico: fino a quattordici anni il minore non è mai imputabile, perché nei suoi confronti è prevista una presunzione assoluta di incapacità (art. 97 c.p.); fra i quattordici e i diciotto anni il minore è imputabile solo se il giudice ha accertato che al momento del fatto aveva la capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p.). Nello specifico, l’art. 98 c.p., stabilisce che «è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva la capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita». Il Tribunale per i Minorenni competente per territorio dovrà quindi accertare se il minore sia imputabile sotto il profilo del raggiungimento dei quattordici anni e sotto quello della capacità di intendere e volere.

[2] UGO FORNARI, “Compendio di psichiatria forense” UTET, Torino 1989.

Counseling interdisciplinare alle persone e alla famiglia

Counseling interdisciplinare alle persone e alla famiglia

      Servizi:

  1. Consulenza legale e psicologica nella crisi di coppia, con interventi mirati ad identificare e gestire, in modo funzionale, le difficoltà riguardanti il singolo o il nucleo familiare;
  2. Interventi a sostegno della genitorialità;
  3. Percorsi di rielaborazione emotiva ed assistenza legale alle vittime di violenza;
  4. Consulenza ai componenti delle famiglie ricostituite e/o alla famiglia allargata, in relazione a difficoltà affettive ed educative;
  5. Assistenza giudiziale e stragiudiziale all’individuo e alla famiglia: separazione, divorzio, filiazione naturale e legittima, adozione, disconoscimento e riconoscimento di paternità, tutela, curatela ed amministrazione di sostegno per situazioni d’incapacità naturale o permanente (interdizione, inabilitazione), istanze al Giudice Tutelare, successioni;
  6. Supporto civile e penale per i reati di maltrattamento, atti sessuali e persecutori (stalking), minaccia, lesioni, omicidio.

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La CTU psicologica nei procedimenti giudiziari per separazione e divorzio: funzioni e profili etico-deontologici

La CTU psicologica nei procedimenti giudiziari per separazione e divorzio: funzioni e profili etico-deontologici

La CTU psicologica nei procedimenti giudiziari per separazione e divorzio: funzioni e profili etico-deontologici. 

“Honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere” (iuris praecepta di Ulpiano)

La Psicologia giuridica: gli ambiti applicativi

La Psicologia giuridica ha da tempo definito una propria identità sociale, rientrando “a pieno titolo” fra le varie discipline operanti nel sistema giudiziario. Il suo ambito include i vari settori della Psicologia (clinica, sociale, di comunità, dello sviluppo, delle relazioni familiari) e le «discipline di confine», come la Sociologia, l’Antropologia, la Criminologia. Uno Psicologo giuridico svolge la propria attività professionale, non solo nel rispetto del Codice deontologico degli Psicologi, ma conformandosi a specifiche linee guida condivise dagli esperti del settore ( Carta di Noto, 1996, aggiornamenti 2002 e 2011; Linee guida deontologiche per lo Psicologo Forense, a cura dell’Associazione Italiana Psicologia Giuridica, Torino, 1999 ). Nel suo lavoro, per il quale sono necessarie, oltre ad una formazione psicoterapeutica, anche conoscenze approfondite delle leggi e delle procedure vigenti nel contesto legale e giudiziario, lo Psicologo giuridico analizza l’interazione tra persona e sistema della giustizia amministrativa, civile, penale, minorile ed ecclesiastica, focalizzandosi sui processi psicologici di rilievo giuridico. Le applicazioni della Psicologia clinica al contesto giudiziario costituiscono pertanto un ausilio sia per l’emissione di sentenze sia per tutelare interessi di parte. Le attività prevalenti del CTU e del Perito riguardano le attività conoscitive, orientate ad accertare quanto richiesto nei quesiti posti dal Magistrato. Ci si riferisce all’assessment e alla diagnosi psicologica, alla valutazione della pericolosità sociale, dell’imputabilità e responsabilità penale, alla valutazione dei minori e del contesto familiare in casi di pregiudizio, all’assessment di minori autori di reato, alla valutazione dei minori e delle capacità genitoriali in casi di affidamento per separazione o divorzio. Altro campo di intervento è la valutazione e quantificazione del danno psichico ed esistenziale. Agli esperti in Criminologia spettano attività quali il c.d. profiling, vale a dire il procedimento di ricostruzione di aspetti specifici desunti dall’osservazione della scena criminis, relativi alla tipologia dell’ipotetico soggetto autore di un delitto, attività indispensabile nei crimini “inesplicabili”.

La valutazione dei minori e delle capacità genitoriali in casi di affidamento per separazione o divorzio.

La legge n. 54/2006 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il principio della bigenitorialità. All’interno di questa cornice normativa, il Consulente Tecnico d’Ufficio viene nominato per valutare le capacità genitoriali potenziali e concrete in relazione agli specifici bisogni della prole. Attraverso i quesiti posti al CTU, il Giudice può ricevere, non solo un quadro preciso dei rapporti tra il minore e ciascuno dei genitori e delle caratteristiche di personalità di questi ultimi, ma anche delle indicazioni in merito alle migliori modalità di esercizio delle funzioni genitoriali. Nel caso specifico delle separazioni e dei divorzi, la valutazione dell’esperto verte sull’idoneità genitoriale, riguardante non solo la capacità di erogare cure materiali ed affettive, ma anche la capacità di ciascun genitore di anteporre ai propri bisogni quelli della prole. La capacità di cooperazione tra i due genitori, il rispetto reciproco, sono fattori protettivi per un figlio, mentre la presenza di comportamenti strumentali, atteggiamenti di squalifica impediscono la corretta gestione della co-genitorialità. In questo caso, il Consulente deve definire le condizioni di vita di un minore e segnalare l’eventuale presenza di condotte genitoriali inadeguate.

Esempi di quesiti:

1)Formuli il CTU sommarie valutazioni in merito alle condizioni di benessere psicofisico del figlio, al rapporto con le figure genitoriali,  ciò anche ai fini del collocamento più appropriato e della definizione del regime delle visite.

2)Verifichi il CTU: l’idoneità genitoriale delle parti, lo stato di benessere della prole.

3)Dica il CTU se il regime dell’affidamento condiviso, come concretamente attualmente in corso, sia rispondente all’interesse del  minore e se ed in che modo possa o debba essere modificato al medesimo fine, anche tenendo conto delle condizioni di vita e lavorative attuali di entrambi i genitori.

4)Dica il CTU quale sia lo stato di benessere psicofisico della prole e se vi sia idoneità genitoriale delle parti, chiarendo eventuali problematiche relazionali tra la prole e ciascuna delle due figure genitoriali, con ulteriore precisazione se dette difficoltà o problematiche siano frutto di autonoma maturazione ovvero di giustificata reazione a condotte inadeguate del genitore o dipendenti da interferenze, ingerenze o manipolazioni dell’altro genitore.

5)Accerti il Consulente le migliori condizioni dell’affidamento e segnatamente se sussistano o meno situazioni di pregiudizio per i minori, che consigliano la deroga alla regola generale dell’affido condiviso, con indicazione della migliore frequentazione dei minori con il genitore in ipotesi non affidatario o comunque non collocatario.

La metodologia peritale (nei casi indicati) deve rilevare ed integrare elementi di valutazione provenienti sia dai singoli soggetti sia dalle relazioni intercorrenti tra di loro. E’ compito del Consulente Psicologo (chiamato ad esprimersi su incarico del Tribunale) esaminare il modo in cui i genitori comunicano (o non comunicano) tra di loro, se esista o no la gestione congiunta della genitorialità, se sussistano condizioni di pregiudizio per il figlio o i figli. La comparazione di dati acquisiti durante l’intero iter valutativo, potrà inoltre chiarire se i “bisogni” espressi dai due genitori e le conseguenti “aspettative” nei confronti dell’accertamento peritale siano (o no) rispondenti all’interesse prioritario del figlio o dei figli. Un’indagine sui comportamenti, sui vissuti, su ciò che è latente o manifesto, assume significato differente se finalizzata ad accertare una “oggettività” psicologica o, al contrario, giuridica. Sul piano strettamente psicologico, il CTU, coerentemente con le funzioni connesse al suo ruolo, deve osservare, comprendere, valutare, definire quanto previsto nei quesiti peritali, e solo sulla base delle sue specifiche competenze.

L’ascolto del minore, in caso di separazione tra i suoi genitori, non è una testimonianza, e ascoltare un minore non significa rilevare il suo parere rispetto alle questioni sulle quali confliggono i genitori, bensì dare valore alla sua individualità. Un figlio “conteso”, se coinvolto in maniera adeguata a prender parte alle decisioni che lo riguardano, è anche in grado di adattarsi a nuove configurazioni familiari, di accedere ad una più profonda consapevolezza dei suoi bisogni, dei suoi sentimenti e delle sue preferenze. Occorre definire i bisogni del figlio in rapporto a ciascun genitore e valutare la sua capacità di riconoscersi in quanto essere dotato di una precisa individualità. Pertanto, esprimersi sull’assetto emotivo di un individuo, la cui personalità sia ancora in divenire, significa anche comprendere se l’identità persegua una logica individuale o non sia piuttosto il risultato di costellazioni genitoriali ‘patogene’ che impediscono cioè la realizzazione di un Sé sufficientemente autonomo. Durante gli incontri con un minore, il Consulente Tecnico d’Ufficio dovrebbe favorire il più possibile l’emersione di contenuti autentici, stabilire un contatto empatico, dialogico, ed individuare in che modo e misura siano eventualmente presenti indicatori psicologici riferibili a condizioni di rischio evolutivo. Negli incontri individuali è utile adoperare tecniche di facilitazione, così come è indicato il ricorso a test grafo-proiettivi, pur considerando che essi presentano limitazioni e carenze sul piano psicometrico. Doveroso precisare che l’utilizzo dei test si integra in una procedura di assessment complessa e articolata, includente lo svolgimento di colloqui, le osservazioni ambientali, la visura degli atti e quant’altro ritenuto utile, purché autorizzato dal Giudice. Generalmente, le aree da indagare riguardano lo sviluppo psichico ed evolutivo, la dimensione affettiva e relazionale, i meccanismi difensivi, le competenze cognitive, l’esame di realtà, sempre in riferimento all’età cronologica. Nei procedimenti giudiziari per separazione e divorzio, secondo quanto generalmente previsto dai quesiti peritali, occorre definire quali siano le caratteristiche della situazione esaminata e riordinare i dati emersi per fornire al Giudice elementi conoscitivi inerenti il collocamento e/o il regime di visite più opportuni per un figlio, in considerazione dei suoi reali bisogni. L’esame è da intendersi non solo come strumento d’informazione delle dinamiche relazionali in atto, ma come attenzione ai comportamenti che possono ledere la salute psichica e fisica dei figli (i più giovani in particolare), in relazione alle loro caratteristiche di personalità, di storia e contesto di vita. Il CTU ha il compito di segnalare ogni condizione che possa porre il minore in stato di pregiudizio e/o di pericolo. Nelle situazioni di grave contrasto genitoriale occorre massima prudenza nel trattare le dichiarazioni rese dal minore. In tal senso, l’acquisizione da parte dei genitori di quanto emerso durante i colloqui, anche per il tramite dei loro Consulenti di Parte, potrebbe diventare rischioso per il bambino, qualora sottoposto ad un conflitto di lealtà, da parte di uno o di entrambi i genitori. Per quel che riguarda la raccolta di informazioni provenienti dai minori, è opportuno non utilizzare domande suggestive o ripetute, tenendo anche presente il livello cognitivo e la vulnerabilità individuale alle informazioni esterne. Se è vero che in taluni casi i bambini presentano capacità mnestiche piuttosto limitate, occorre una attenta valutazione del minore per poter affermare o escludere che un genitore ne possa influenzare il ricordo e/o la narrazione. Alcuni studi hanno evidenziato, ad es., che persino i bambini di tre anni possono ricordare accuratamente eventi personali significativi, incluse situazioni che li coinvolgono come vittime (Jones e Krugman, 1986) [1]. I bambini molto piccoli possono ricordare esperienze passate anche per un lungo periodo di tempo, in particolare se hanno già una conoscenza dell’evento, la cui durata di esposizione aumenta la possibilità di percezione e dunque di codifica [2]. In ogni caso, è opportuno prender nota di tutte le affermazioni rese dai minori, per poter seguire il percorso ideativo sotteso alla narrazione, nonchè rilevare la presenza di contraddizioni; ciò riguarda sia tematiche connesse alle attività scolastiche, ludiche, sia quelle che riguardano la qualità del rapporto con i genitori, anche in vista del collocamento, punto imprescindibile di alcune valutazioni.

Per quanto riguarda l’indagine personologica sui genitori, un test basato sull’auto-descrizione è essenzialmente una stima di come il soggetto si percepisce; in alcuni casi, può innescare una reazione difensiva nell’esaminando, con conseguenze in termini di validità dei risultati, pertanto la valutazione testistica è un accertamento complementare in consulenza tecnica, le cui risultanze devono essere sempre contestualizzate e comparate con altri dati. Nell’utilizzo dei test proiettivi occorre integrare, con adeguata competenza, gli elementi statistici (standardizzati) con elementi interpretativi. Se da un lato è importante evidenziare se sia presente o no psicopatologia psichiatrica, tale da compromettere il funzionamento e l’equilibrio adattivo di ciascun genitore sul piano cognitivo, affettivo, sociale, è altrettanto importante esaminare i tratti personologici in rapporto alla percezione e comprensione delle esigenze e dei bisogni affettivi dei figli, sicchè può risultare utile il ricorso a questionari per la valutazione delle abilità parentali, come pure l’utilizzo di prove congiunte, come ad esempio il Disegno Congiunto della Famiglia e il Lousanne Trilogue Play clinico, coinvolgenti la coppia genitoriale ed il figlio. Anche se è necessario e raccomandato osservare la relazione intercorrente tra le parti, in casi di aperto conflitto, la valutazione congiunta dei genitori rischia di esasperare le dinamiche già in atto, non essendo il setting peritale uno spazio terapeutico; in caso di violenza di coppia e domestica, non è possibile prevedere colloqui congiunti né prove di valutazione che si rifanno all’espletamento di compiti congiunti. Spesso, nelle consulenze tecniche d’ufficio, quando emerge il problema della violenza domestica, i professionisti tendono ad ignorarlo, o minimizzarlo, atteggiamenti che possono derivare dalla scarsa conoscenza del fenomeno. Il CTU, dopo aver precisato la metodologia d’indagine e il quadro teorico di riferimento, secondo una corretta ed indicata prassi, deve esaminare e descrivere quanto rilevato durante le indagini, riportando le riflessioni teorico-cliniche a sostegno del proprio parere conclusivo in risposta ai quesiti. Il compito del CTP consiste nell’adoperarsi affinché il consulente del giudice utilizzi metodologie corrette ed esprima giudizi scientificamente fondati. Tanto il Consulente d’Ufficio quanto il Consulente di Parte sono tenuti ad osservare le norme che regolano i rapporti tra colleghi (tecnici), che nei rapporti con i magistrati, gli avvocati e le parti sono tenuti a mantenere la propria autonomia scientifica e professionale (come previsto dalle LINEE GUIDA DEONTOLOGICHE PER LO PSICOLOGO FORENSE). Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su documentazione adeguata ed attendibile. Il CTU, inoltre, rende sempre espliciti al minore gli scopi del suo intervento e si adopera affinché ogni incontro avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore e la spontaneità della comunicazione. I colloqui tanto col minore quanto con i genitori tengono conto che essi sono già stati sottoposti allo stress che ha causato la vertenza giudiziaria. L’attività peritale esita in un elaborato che viene acquisito dal Giudice e dalle persone autorizzate per legge. Opportuno ricordare che i suoi contenuti riguardano dati “particolari”, personali, elementi psicodiagnostici, per giunta riguardanti dei minori, e il cui utilizzo impone sempre una certa cautela. Il CTP nel presentare le proprie osservazioni sul lavoro svolto dal CTU, deve fondare le proprie osservazioni soltanto su argomentazioni valide e su quanto direttamente osservato, evitando ogni riferimento critico alla persona e lesivo dell’altrui dignità professionale. E’ inoltre sconveniente sovrapporre al ruolo di psicoterapeuta quello di CTP (del cliente o parte in causa) come pure esprimere una valutazione specialistica sullo stato psichico di una persona, facendo proprie le “notizie” trasmesse dal proprio cliente. Il contesto peritale prevede la partecipazione di soggetti con ruoli e compiti ben delineati, quali appunto il Consulente d’Ufficio e i Consulenti di Parte, che devono prestare attenzione ad ogni aspetto comunicativo o metacomunicativo, parti essenziali nell’indagine conoscitiva, sia in ambito clinico che psicologico/giuridico. È opportuno che i diversi Consulenti si incontrino agli inizi del lavoro valutativo, per accordarsi sulla metodologia e precisare in che modo intendano svolgerlo, avanzando le rispettive richieste e concordando i tempi e i modi delle varie operazioni; è consigliabile videoregistrare tutti gli incontri consulenziali. Soprattutto, è da ritenersi buona prassi videoregistrare gli incontri effettuati alla presenza dei minori. I CCTT d’ufficio e di parte, nell’ambito di una reciproca relazione professionale deontologicamente corretta, devono considerare l’interesse del minore come “bene superiore”. Gli accertamenti riguardanti un minore, anche in rapporto a ciascun genitore, per la loro “particolarità”, richiedono un’attenta disamina degli aspetti verbali e non verbali, degli indicatori di contesto. L’indagine conoscitiva deve prevedere valutazioni “ambientali”, presso il domicilio di ciascun genitore, oltre all’estensione dei colloqui ad altri adulti significativi nella vita del minore, con particolare attenzione rivolta alle dinamiche interattive, all’espressione di particolari vissuti. Risulta utile, in taluni casi, l’acquisizione di informazioni di natura psicologica presso operatori a contatto con i minori o i genitori. Un’ulteriore considerazione riguarda coloro i quali, senza il possesso di competenze specialistiche, esprimono pareri tecnici (persino di natura nosografica) totalmente estranei al proprio ambito d’intervento e/o con modalità debordanti dal corretto esercizio del diritto di difesa. Il comportamento di un individuo, in termini strettamente psicologici, è espressione del suo funzionamento in un preciso contesto esistenziale e in un determinato periodo della sua storia individuale, ma è anche rivelazione del suo “stile di vita”, unitario e coerente con aspetti strutturali, organizzativi e funzionali del suo “essere nel mondo”. L’insieme di segni presentati dal soggetto (e annotati dall’osservatore) sono i mezzi, gli strumenti, le strategie che il soggetto traduce in comportamenti e attraverso i quali manifesta il suo funzionamento. Tutto quello che viene agito al cospetto del CTU o dei CCTTPP (se nominati) assume particolare rilievo, configurandosi, in tal senso, come acquisizione diretta di elementi che andranno a comporre il quadro descrittivo da esporre al Giudice. Poiché il Consulente ha il compito di fornire al giudice i chiarimenti tecnici che questi ritenga opportuno chiedergli, la sua attività di assistenza è circoscritta alle sole questioni la cui soluzione richiede particolari conoscenze tecniche, ma non può estendersi fino all’interpretazione di prove documentali, allo scopo di esprimere un giudizio che è riservato al giudice; la ricostruzione delle verità fattuali ai fini processuali non è competenza del CTU. L’esperienza peritale troppo spesso evidenzia che i bisogni dei minori vengono disattesi e tale realtà può richiedere modifiche in ordine all’affido/collocamento contrastanti con le “aspettative” e i “desideri” degli adulti che, se bloccati in un meccanismo disfunzionale, preferiscono osteggiare quanto evidenziato dalla consulenza svolta piuttosto che aprirsi a dinamiche trasformative. Tutto questo si inserisce in uno “schema” identitario e di relazione che non riconosce l’alterità. Una “visione autocentrata del mondo” presuppone la sola esistenza dei propri desideri, e in tale scenario l’ALTRO “scompare”, nella misura in cui non ha il diritto di esprimere se stesso. Come da risultanze peritali, è spesso presente -a tutti i livelli d’interazione- un’incapacità a gestire la propria autenticità in rapporto a ciascuno dei membri del nucleo familiare, la cui influenza disgregatrice continua a manifestarsi anche in seguito alla separazione, sicché il figlio, come il partner, viene relegato ad un ruolo marginale. Dalla negazione di ogni possibile differenza e alterità, come dice Lévinas, risiede l’origine del senso del male, in quanto sopraffazione, egoismo, violenza. La discriminazione accusatoria verso chi osa comportarsi, pensare, esprimersi in modo differente da se stessi è un atteggiamento fondato su una visione unilaterale dei rapporti umani, che finiscono per ricevere il peso delle proprie smisurate ambizioni compensative. E quanto si proietta all’esterno, spesso non è altro che la voce inascoltata, profonda, di se stessi.

Marialuisa Vallino

Articolo citato da Maria La Placa in: “La valutazione del minore in ipotesi di alienazione parentale”, Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, Corso di Formazione in Psicologia Giuridica e Psicopatologia Forense, Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito Civile e Penale, adulti e minorile, 2018.

Note:

[1] JONES, D., KRUGMAN, K. (1986) Can a three-year-old child bear witness to her sexual assault and attempted murder?, Child Abuse and Neglect, 10, 253-258.

[2] BADDELEY, A., MICHAEL, W., EYSENCK, M.W., ANDERSON, M.C. (2009), Memory, Psychology Press, United Kingdom.

 

L’audizione del minore

L’audizione del minore

L’audizione del minore

Relazione di Marialuisa Vallino, presentata in occasione del Convegno: “Conflitto coniugale e condivisione genitoriale: apparenza di una contraddizione” svoltosi a Bari il 23 Marzo 2007, e nell’ambito del Corso E.C.M. per Avvocati, svoltosi presso il Tribunale di Napoli il 14 Aprile 2008. A fronte dell’evoluzione di alcuni concetti diagnostici ed operativi sono state apportate delle modifiche.

Il tema che mi è stato assegnato è sicuramente complesso ma interessante, perché a fronte di un testo normativo composto unicamente da cinque articoli, passati al vaglio del Senato il 24 gennaio 2006, il legislatore ha rivoluzionato il diritto di famiglia, suscitando opinioni fortemente contrastanti e dando vita ad interrogativi ai quali è necessario dare risposta. La condivisione genitoriale, infatti, vede gli operatori del settore impegnati nell’affrontare problematiche che, pur affioranti nel mondo del diritto, coinvolgono principi etici, sociali e culturali riguardo la posizione del minore all’interno della famiglia e della società in cui vive. Nella presente relazione vengono affrontate alcune tematiche che definiscono la “grandezza e i limiti” della c.d. bigenitorialità, delineando i fattori emotivi che legano la conflittualità familiare al contesto giudiziario. Lungo e difficile è stato il percorso di emancipazione del minore da oggetto di protezione all’interno della famiglia a soggetto di diritti; altrettanto arduo è stato il cammino, intrapreso da alcuni psicanalisti, soprattutto di matrice junghiana, che ha portato a rivalutare il ruolo del padre. Nel 2000 sono stati affidati esclusivamente alla madre l’86,7% dei minorenni a seguito di una separazione e l’86% a seguito di un divorzio. L’innovazione maggiormente evidente della Legge 54/2006 è quella di aver richiamato l’opinione pubblica al rispetto di un’eguaglianza sostanziale tra i genitori, e ciò anche in quel contesto “incerto” nel quale la conflittualità e le tensioni agiscono come spinte divergenti, pregiudicando la posizione dei minori che ne sono coinvolti. Il messaggio sotteso è che soltanto il rispetto di una totale par condicio nei confronti del figlio possa salvaguardare il diritto del minore di mantenere, nel caso di separazione/divorzio tra i genitori, il miglior rapporto possibile con ciascuno di essi (oltre che con i parenti di entrambi i rami). Qualcuno osserverà che si tratta di un enunciato del tutto ovvio; a mio parere, invece, si tratta di un principio che è stato giusto ribadire proprio perché troppe volte disatteso dalle parti in conflitto. Inoltre, il nuovo scenario si dimostra non soltanto rispondente all’evoluzione del nostro tessuto sociale, ma si allinea altresì con la normativa europea che già da tempo aveva indicato che l’autorità parentale debba continuare ad essere esercitata dal padre e dalla madre anche dopo la separazione e che ciascuno dei genitori debba assumere l’impegno di coltivare le relazioni personali del minore con l’altro genitore anche in separazione. Con riferimento specifico all’affido condiviso, possiamo quindi dire che i genitori vengono richiamati al loro compito di continuare ad essere, malgrado la fine della loro convivenza, “genitori insieme”. Come e cosa fare perché ciò accada? Il compito spetta ancora una volta al Giudice che dovrà valutare la situazione, allo scopo di emanare i provvedimenti che siano maggiormente rispondenti all’interesse del minore, fermo restando, tuttavia, che l’affidamento “condiviso” deve ormai ritenersi la soluzione prescelta dal legislatore come regola generale, e dunque prioritaria rispetto all’affidamento monogenitoriale. Non solo, ma come abbiamo avuto occasione di sperimentare nei Tribunali, il genitore che si oppone all’affidamento condiviso deve fornire elementi validi con l’esito sicuramente di essere sottoposto unitamente al coniuge e al figlio ad una consulenza tecnica d’ufficio. La concezione implicita della legge offre una “visione ottimistica” della separazione, di genitori in grado di prendere decisioni razionali, soprattutto nei casi in cui la ferita del legame coniugale è ancora aperta e il grado di conflittualità è ancora alto. È un po’ illusorio pensare che diventi all’improvviso capace di farlo chi non ha saputo decidere prima della separazione. I figli necessitano non solo di cure materiali, (anche se questo è il punto da cui scaturiscono le più potenti rivendicazioni), ma di pilastri identitari solidi e autentici. Non ha molto senso favorire nei figli un rapporto “equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori, se quei genitori non sono prima in grado di testimoniare a se stessi il proprio equilibrio e la propria autenticità. Appare carente, infine, il ricorso alla mediazione familiare, se non si chiariscono con esattezza le modalità della sua attuazione. L’affido condiviso può funzionare solo se scelto e voluto da entrambi i genitori. Per evitare al minore un trauma è importante che durante la separazione i coniugi riescano a differenziare i problemi legati alla conflittualità della coppia da quelli relativi al proprio ruolo di genitori responsabili. Soprattutto è da evitare di mettere “in cattiva luce” l’altro coniuge agli occhi dei figli che hanno il diritto di mantenere un legame valido con entrambi i genitori. L’importante è che il divorzio e la separazione non coincidano mai con la fine dell’impegno parentale, perché si rimane comunque ancora genitori dei figli che sono stati generati insieme e, per dirla con Anna Oliverio Ferraris, “dai figli non si divorzia”. L’esperienza clinica dimostra che le coppie conflittuali rischiano di smarrirsi in un labirinto di odio e rivendicazioni per decine di anni se non per tutta la vita. La tanto vagheggiata conquista dell’indipendenza, la liberazione dall’altro, si connotano spesso nei termini di una sotterranea, quanto inconsapevole pretesa di liberarsi dei propri disagi psichici. Tale pretesa assume sovente le forme di un meccanismo disfunzionale, una “gabbia” affettiva e relazionale in cui gli ex coniugi rimangono prigionieri e che impedisce loro di ritrovare l’apertura psicologica per mentalizzare il passato e il presente, conferendo senso alla fine del matrimonio. La mancata elaborazione del “lutto” conseguente alla fine di un legame affettivo può esitare in quello che viene definito un abbraccio mortale (Main T., 1966) che impedisce il ripristino naturale delle condizioni di fiducia ed entusiasmo necessarie per prospettare una vita sentimentale futura. Una volta distrutta la fusionalità dell’eros, i coniugi restano uniti, paradossalmente, nella fusionalità dell’odio. Assurdamente, l’intervento della giustizia può essere utilizzato dagli ex coniugi per mettere in atto, in forma legalizzata, una serie di violenze e ritorsioni reciproche, vanificando quindi l’intendimento risanante, non solo della legge sull’affidamento condiviso, ma anche delle altre leggi finalizzate alla limitazione delle violenze familiari. A tale proposito, risulta particolarmente utile ricordare i cosiddetti “abusi emotivi”, subiti dai minori, e che secondo alcuni studiosi si compendiano in alcune Sindromi da separazione genitoriale. Nel 1995, il dott. Ira Daniel Turkat descriveva la ‘Malicious Mother Syndrome’; la “Sindrome della madre malevola”, secondo la sua teorizzazione, si riscontrerebbe in alcune madri affidatarie e consisterebbe in un’anomalia del comportamento comprendente: la manipolazione psicologica dei figli utilizzati come arma contro il padre; la vessazione del partner attraverso accuse gravi e infondate, come quelle di presunte violenze a carattere sessuale; la disponibilità ad andare contro la legge o sfruttarne ogni piega pur di danneggiare il proprio ex. L’alterazione della condotta può comprendere veri e propri gesti criminali, oppure può trasformarsi in un eccesso di azioni legali con cui impedire all’altro genitore l’accesso ai figli. L’uso strumentale dei figli, da parte dei genitori, è, in molti casi, un’evidenza concreta, e non necessariamente connessa al genere. Tuttavia, occorre una prudente valutazione, in caso di sospetta violenza, perchè la sua sottostima o minimizzazione può comportare rischi di vittimizzazione secondaria e l’uso inappropriato di costrutti scientifici.
Nel 1985, Richard Gardner, psichiatra infantile e forense, membro del Dipartimento di Psichiatria Infantile della Columbia University di New York, coniò il termine “Parental Alienation Syndrome” (PAS) – tradotto in italiano da alcuni autori (Buzzi, 1997; Gulotta, 1998) col termine “Sindrome di Alienazione Genitoriale” – per designare il disturbo psicopatologico dei soggetti in età evolutiva, frequentemente in età compresa tra i 7 e i 14/15 anni, che costituirebbe la “risposta distintiva” del sistema familiare sottoposto al trauma della separazione. Secondo alcuni autori tale risposta sarebbe addirittura una conseguenza paradossale del contesto giudiziario nel trattare la conflittualità familiare, tanto da definire la PAS una patologia iurigena (Salluzzo, 2004).
La PAS, secondo la sua teorizzazione, sarebbe connessa a due fattori concomitanti. Il primo è la “programmazione” o “indottrinamento” di un genitore – che è afflitto da odio patologico – ai danni dell’altro, comportamento definito come “alienante”. Il secondo fattore, che costituisce la principale manifestazione della PAS, è l’allineamento col genitore più amato (il genitore programmante che fa il cosiddetto “lavaggio del cervello” o che induce la PAS) da parte dei figli, i quali si dimostrano personalmente coinvolti in una campagna di denigrazione – che non ha giustificazione né è sostenuta da elementi realistici – nei confronti dell’altro genitore, che viene “odiato” (il genitore alienato, denigrato, la vittima, o il bersaglio). La finalità è quella di escluderlo dalla loro vita. Naturalmente, è fondamentale il ruolo svolto anche da tutti coloro, familiari e non, che si schierano dalla parte del genitore alienante. Il genitore alienante (Gardner, 2002) invece di contestare ai figli l’assurdità delle loro affermazioni, ne “condivide” i sentimenti e ne accetta le ripetute esibizioni di maleducazione e diffamazione. Ne risulta un atteggiamento adultomorfico dei figli, che li fa sentire come se si fossero rapidamente elevati a rango di valorosi adulti. La PAS, rilevata fin dagli anni ottanta nella realtà statunitense, è stata individuata come disturbo dell’età evolutiva, ma oggi viene messa in discussione dalla comunità scientifica e dalla Suprema Corte di Cassazione. E’ opportuno occuparsi della c.d. alienazione genitoriale per 2 ragioni: la prima è che la sua evidenza si colloca in maniera privilegiata proprio nella fascia d’età per la quale è previsto l’ascolto del minore, e la seconda è che essa si situa all’interno di un altro grosso problema, definito “acting out giudiziario”, vale a dire la più o meno consapevole tendenza dei genitori ad utilizzare il sistema giudiziario in modo perverso, come palcoscenico dove rappresentare il loro disagio, nella illusoria speranza di una riparazione delle proprie sofferenze e ferite narcisistiche. In riferimento alla teorizzazione della PAS, non si tratta di una patologia da indagare clinicamente, ma di una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale. La locuzione “alienazione parentale” non è esplicitamente riportata nel DSM-5, tuttavia nel manuale si fa riferimento ad “atti non accidentali verbali o simbolici di un genitore o caregiver che causano, o hanno la ragionevole probabilità di causare, un significativo danno psicologico al bambino”. Credo che la complessità del fenomeno “danno psicologico” debba essere inquadrata come grave fattore di rischio evolutivo per il minore, a prescindere dal riconoscimento o meno di una sindrome specifica. Per non cadere in trappole terminologiche che rimandano a precise “sindromi”, forse sarebbe più opportuno limitare il campo di osservazione a quei comportamenti di “influenzamento”, non necessariamente “volontari” suscettibili di incidere sul rapporto di un figlio con le figure genitoriali. Va comunque precisato che i bambini hanno una loro percezione delle dinamiche intrafamiliari non sempre e necessariamente soggetta ad intrusioni/condizionamenti. Ciò vale, in particolare, nei casi di violenza assistita, laddove la ricerca di maggior vicinanza con il genitore maltrattato è una reazione attesa, nonchè dettata dal bisogno di salvaguardare/proteggere la figura genitoriale percepita come più debole. Fatta questa premessa, che deve indurre necessariamente gli operatori a differenziare i termini violenza e conflitto, l’esperienza peritale insegna che un disagio di coppia, non affrontato in modo opportuno, può essere riversato all’esterno, sulla prole: un conflitto di coppia dovrebbe ricevere rielaborazione nelle sedi opportune, anche al fine di limitare manovre di triangolazione. Che lo si voglia riconoscere o no il peso della conflittualità ricade inesorabilmente anche sui figli e questo è particolarmente vero se questi ultimi diventano oggetto di una transazione, più che destinatari di un’affettività sana e rispondente alle loro reali necessità. I parenti e gli amici, in questi casi, possono diventare facilmente istigatori del conflitto, e solo in casi rari, promotori di attività dialogiche o autoriflessive. Sembra sia estremamente difficile, nei casi di conflittualità familiare, rimanere neutrali ed evitare il peggio, anche per i professionisti e per coloro che svolgono ruoli istituzionali. Molti corrono il rischio di farsi suggestionare, schierandosi a favore dell’una o dell’altra “fazione”. Gli avvocati lavorano in un ambito tipicamente basato sul conflitto, e pertanto inadatto a risolvere le difficoltà delle famiglie in crisi (Waldron, Joanis, 1996). Nei contesti separativi, non sempre i difensori riescono a riconoscere la distorsione delle dichiarazioni dei loro clienti, e possono a volte ‘aderire’ inconsciamente ai loro atteggiamenti, finendo anche per negare l’evidenza di comportamenti “critici”.
Naturalmente, il mandato dell’avvocato non è quello di evidenziare una realtà psicologica, bensì quello di delineare una verità processuale tale da far prevalere, all’interno della contesa giudiziaria, gli interessi del proprio assistito.
In conseguenza di ciò, le versioni di parte hanno spesso un tasso di distorsione così elevato, che alcuni autori parlano di “fattoidi” (de Cataldo, 1997) per designare quanto riferito da chi è sottoposto a interrogatori o perizie in ambito giudiziale. Occorre tenere bene a mente che ciascuno cerca una strategia per sopravvivere, e quello che fa è in relazione a questa strategia, di conseguenza è opportuno operare una distinzione tra sè e gli altri, delineando i confini interpersonali. Tanto vale anche per i Consulenti. Non dobbiamo dimenticare che nell’ascoltare e registrare determinati eventi si tende troppo spesso a lasciarsi condizionare, ad allearsi con quegli aspetti dell’interlocutore che toccano più da vicino i propri vissuti. Non è un caso che molte professioni derivino proprio dal bisogno di accostarsi a una serie di problematiche personali, vivendole attraverso i propri assistiti, pazienti, nel tentativo di superarle (Carotenuto). Un’oggettività è resa possibile solo dalla precisa delimitazione di un io e di un tu e dal rispetto e riconoscimento dell’identità quanto dell’alterità. Fatte queste premesse, entriamo nel vivo dell’audizione del minore, intesa nella duplice forma di ascolto diretto da parte del giudice e indiretto, eseguito da un CTU e trasmesso al giudice attraverso una relazione scritta. Occorre puntualizzare che l’ascolto di cui parliamo è sostenuto da una motivazione a comprendere e valutare l’hic et nunc dell’assetto emotivo del minore e delle dinamiche relazionali che lo riguardano, oltre naturalmente a renderlo protagonista della propria vita, piuttosto che oggetto di una transazione tra i genitori. L’ascolto è da intendersi in quest’ultimo caso, non solo come strumento d’informazione delle dinamiche familiari in atto, ma come affermazione del bisogno fondamentale di un minore di riconoscersi in quanto essere distinto dai propri genitori. L’audizione in questo caso ha un valore simbolico, perché come Westley e Epstein hanno affermato: “Ad una persona deve essere permesso di considerarsi separata dagli altri e di sperimentarsi tale, al fine di raggiungere l’identità”. I giudici minorili in generale si mostrano più favorevoli a procedere all’ascolto diretto, anche in considerazione della presenza dei componenti non togati, giudici onorari, dotati di specifiche competenze in campo psicologico, mentre con maggiore frequenza i giudici ordinari ricorrono all’ascolto indiretto, eseguito dai CTU. Personalmente, ritengo che una forma d’ascolto non debba escludere l’altra e che ciascuna possa fornire elementi aggiuntivi, in quanto fondata su esperienze e competenze diverse.

Art. 336-bis. Codice Civile
Ascolto del minore. 

Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento.

Modalità dell’ascolto, Proposte:

A) ASCOLTO DIRETTO: l’ascolto diretto può essere particolarmente efficace per l’individuazione delle domande da porre successivamente al CTU. Al fine di consentire una più spontanea audizione del minore sarebbe opportuno raccogliere preventivamente il consenso delle parti e degli avvocati a non partecipare all’audizione, e a prendere visione successivamente dei temi ed argomenti trattati dal giudice, attraverso il verbale, fermo restando la proposta di tematiche da approfondire. Una comunicazione libera, non condizionata da argomenti preventivamente sottoposti al giudice dai difensori, può ridurre il rischio di un’induzione di una o dell’altra figura genitoriale. Nel caso in cui il giudice si avvalga di un ausiliare, questi dopo un esame delle questioni che si desumono dagli atti, può coadiuvare il giudice nell’indirizzare il colloquio secondo modalità mutuate dal lavoro clinico con i bambini. I contenuti dell’audizione dovrebbero essere di volta in volta adattati all’età del minore, tenendo presente che esistono ampie discordanze sul problema della capacità di discernimento e su che cosa debba con essa intendersi. Personalmente ritengo che la scelta dei 12 anni derivi dalla teorizzazione piagetiana della crescita cognitiva, coincidendo con lo stadio operatorio formale, durante il quale gli individui imparano a pensare in termini astratti. Non più legati alla verifica concreta nel mondo esterno delle proprie idee, essi possono sottometterle a una verifica interna con mezzi logici. Discernimento indica la facoltà di apprendere e giudicare, etimologicamente ‘discernere’ indica vagliare e separare. Se riconduciamo tali facoltà ai minori, riconosciamo immediatamente che l’evoluzione cognitiva non è sufficiente a garantire il raggiungimento di una maturità emotiva e che questa è condizionata in modo prevalente dallo stile di funzionamento familiare. Nell’ascolto diretto, sin dalla fase presidenziale, sarebbe utile indagare non tanto con quale genitore il minore preferirebbe vivere, quanto piuttosto lo svolgimento delle attività scolastiche, le relazioni con gli insegnanti e i compagni, le modalità ludiche, e solo verso la fine cercare di comprendere in che modo e misura i genitori partecipino alla  crescita, formazione ed educazione della prole, indagando specifiche aree, prima della crisi/separazione ed eventualmente dopo di essa. La raccolta di informazioni dovrebbe avvenire secondo una modalità “ad imbuto”, cioè partendo dalle domande pensate allo scopo di ottenere un racconto libero degli eventi, per arrivare a quelle che richiedono risposte più specifiche. Di seguito alcuni esempi:

– Il soggetto dormiva-dorme da solo? con i fratelli? con i genitori?
– Reazioni dei genitori (o uno solo di essi) se il sogg. si svegliava- si sveglia di notte piangendo
– Al sogg. venivano-vengono dati dei castighi? Da chi?
– Il sogg. aveva-ha una stanza per sé?
– Il sogg. giocava-gioca da solo?
– Chi accompagnava-accompagna il sogg. a scuola o all’asilo?
– A chi il sogg. ricorreva-ricorre abitualmente in caso di bisogno e perché?
– Descrizione da parte del soggetto della propria madre, attraverso l’utilizzo di semplici aggettivi
– Descrizione da parte del soggetto del proprio padre, attraverso l’utilizzo di semplici aggettivi.

B) ASCOLTO INDIRETTO: il ruolo del CTU è essenzialmente valutativo e la metodologia utilizzata in ambito peritale deriva dalla formazione da questi acquisita, nonché dal riferimento a Linee guida e Protocolli in materia. Generalmente, i quesiti posti al consulente dal giudice riguardano valutazioni diagnostiche sulla personalità dei soggetti interessati, per lo più i genitori, indagini approfondite sulle relazioni intercorrenti tra il minore e i genitori ed i parenti di entrambi i rami genitoriali. Di grande frequenza è poi la richiesta, da parte del giudice, di individuare la soluzione di affido più rispondente all’interesse e al benessere psico-fisico del minore e quali siano le proposte e i suggerimenti in ordine alle concrete modalità di collocamento. Un quesito che abbia per oggetto una proposta o un suggerimento rende il ruolo del CTU più dinamico, non limitandolo alla sola competenza psicodiagnostica. Le indicazioni emerse dall’espletata consulenza possono in molti casi costituire un progetto di affidamento da verificare e monitorare, più che una dettagliata elencazione di sintomi/criticità. Occorre a questo riguardo puntualizzare che in alcuni casi, tra cui quello specifico del tema dell’affidamento condiviso, la somministrazione di alcuni inventari di personalità o di test proiettivi è non solo discrezionale, ma in molti casi superflua o inapplicabile ai fini dei quesiti posti. Quando si abbia la necessità di indagare lo stile di attaccamento di un minore o scandagliare il sistema di vita familiare può essere utile, oltre al colloquio, il ricorso ai test proiettivi grafici, seguiti da un’inchiesta più libera di quella prevista nei vari manuali di psicodiagnostica, e comunque sempre da adattarsi alle capacità cognitive ed espressive del soggetto in esame. Lo studio dell’interazione triadica (LTPc-Disegno congiunto) permette, ad esempio, di ricavare informazioni sull’alleanza familiare ed altre dinamiche. In altri casi, soprattutto con i bambini più piccoli, può essere utile ricorrere a una tecnica mutuata dalla psicoterapia infantile di matrice junghiana (SAND PLAY THERAPY) che prevede l’allestimento di una sabbiera e la manipolazione di piccoli oggetti che il bambino può muovere a piacimento, inventando un numero infinito di storie e proiettando in esse i suoi vissuti più autentici.
Personalmente, durante le consulenze, fermo restando il ricorso alle prove testistiche, tendo ad approfondire l’indagine anamnestica, a prestare attenzione alle contraddizioni tra Comunicazione verbale e Comunicazione non verbale, tentando di cogliere anche gli aspetti “sommersi”, non coscienti dei soggetti in esame. Qualunque sia la tecnica d’indagine e la metodologia prescelta, il ricorso ai test dovrebbe sempre essere accompagnato da un’attenta lettura delle dinamiche relazionali dei soggetti in esame, sempre contestualizzando le osservazioni scaturite dall’indagine peritale. Come indicato nelle “Linee guida deontologiche per lo psicologo forense”, questi presenta all’avente diritto i risultati del suo lavoro, rendendo esplicito il quadro teorico di riferimento e le tecniche utilizzate (art. 1 C.N.), così da permettere un’effettiva valutazione e critica relativamente all’interpretazione dei risultati. Egli, se è richiesto, discute con il giudice i suggerimenti indicati e le possibili modalità attuative (…) Nell’espletamento delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente affidabili (art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti stessi sia dall’osservazione dell’interazione dei soggetti tra di loro.

Marialuisa Vallino

La sponda poetica: del morire e rinascere in-versi

La sponda poetica: del morire e rinascere in-versi

Joë Bousquet, réunion de 10 lettres autographes (Christie’s)

Passante, fermati. Nel fondo dei tuoi silenzi di donna c’è un raggio nato per rischiararti queste parole di cui la più leggera coprirebbe mille notti con la sua ombra. Una mano di ferro, quando avevo solo vent’anni, mi ha dilaniato, non era nulla. Ho creduto di essere morto e questa illusione mi ha sempre separato dal cuore. Il cuore non ha mai saputo nulla di ciò che mi era accaduto né che ero sepolto vivo e una metà di me stesso era la tomba dell’altra metà. Ecco il miracolo. Amica mia, ero intatto, terribilmente intatto. Identico a me stesso in pensiero; terribilmente forte in questa convinzione, poiché essa poteva sopportare tutto il peso del mondo reale senza smentirsi. Tutto ciò che respirava, tutto ciò che amava, tendeva a schiacciarmi sotto il peso del mio corpo congelato, inutile. Ma il pensiero fu più grande di tutto quanto mi condannava all’oblio. Non c’era nulla che mi si opponesse e di cui il mio cuore non fosse l’origine. E’ molto strano: così facile a tal punto che non si sa come dirlo: l’uomo è in se stesso più grande e più forte di tutto ciò che è. E’ la grandezza, il divenire e la morte delle verità e delle cose, di cui è anche la sorgente.

 

da: Joë Bousquet, Tradotto dal silenzio (Traduit du silence, 1941), traduzione e postfazione a cura di Adriano Marchetti, 1a ed. italiana, “Biblioteca In forma di parole”, Genova, Marietti, 1987.

Se tu non parli

“Se tu non parli
riempirò il mio cuore del tuo silenzio
e lo sopporterò.
Resterò qui fermo ad aspettare come la notte
nella sua veglia stellata
con il capo chino a terra
paziente.
Ma arriverà il mattino
le ombre della notte svaniranno
e la tua voce
in rivoli dorati inonderà il cielo.
Allora le tue parole
nel canto
prenderanno ali
da tutti i miei nidi di uccelli
e le tue melodie
spunteranno come fiori
su tutti gli alberi della mia foresta”.

-Rabindranath Tagore-

Un’altra poesia dei doni

“Ringraziare voglio il divino
labirinto degli effetti e delle cause
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per la ragione, che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il saldo diamante e l’acqua sciolta
per l’algebra, palazzo di precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer,
che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare
senza uno stupore antico

per il mogano, il cedro e il sandalo,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede,
per certe vigilie e giornate del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
per quel sogno dell’Islam che abbracciò
mille notti e una notte,
per quell’altro sogno dell’inferno,
della torre del fuoco che purifica,
e delle sfere gloriose,
per Swedenborg,
che conversava con gli angeli per le strade di Londra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in me,
per la lingua che, secoli fa, parlai nella Northumbria,
per la spada e l’arpa dei sassoni,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo,
per la musica verbale dell’Inghilterra,
per la musica verbale della Germania,
per l’oro, che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno
per il nome di un libro che non ho letto: Gesta Dei per Francos,

per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan,
per il mattino nel Texas,
per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale
e il cui nome, come egli avrebbe preferito, ignoriamo,
per Seneca e Lucano, di Cordova,
che prima dello spagnolo scrissero
tutta la letteratura spagnola,
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medicinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
perché moriva così lentamente,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
quei due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la musica, misteriosa forma del tempo”.

-Jorge Luis Borges-

MA LIBERTÉ

“Ma liberté
Longtemps je t’ai gardée
Comme une perle rare
Ma liberté
C’est toi qui m’a aidé
A larguer les amarres
On allait n’importe où
On allait jusqu’au bout
Des chemins de fortune
On cueillait en rêvant
Une rose des vents
Sur un rayon de lune

Ma liberté
Devant tes volontés
Mon âme était soumise
Ma liberté
Je t’avais tout donné
Ma dernière chemise
Et combien j’ai souffert
Pour pouvoir satisfaire
Toutes tes exigences
J’ai changé de pays
J’ai perdu mes amis
Pour gagner ta confiance

Ma liberté
Tu as su désarmer
Toutes Mes habitudes
Ma liberté
Toi qui m’a fait aimer
Même la solitude
Toi qui m’as fait sourire
Quand je voyais finir
Une belle aventure
Toi qui m’as protégé
Quand j’allais me cacher
Pour soigner mes blessures

Ma liberté
Pourtant je t’ai quittée
Une nuit de décembre
J’ai déserté
Les chemins écartés
Que nous suivions ensemble
Lorsque sans me méfier
Les pieds et poings liés
Je me suis laissé faire
Et je t’ai trahi pour
Une prison d’amour
Et sa belle geôlière”.

-Georges Moustaki-

Allegria di naufragi

“E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare”.

-Giuseppe Ungaretti-

I poeti lavorano di notte

“I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro,

quando tace il rumore della folla

e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio

come falchi notturni od usignoli

dal dolcissimo canto

e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio

fanno ben più rumore

di una dorata cupola di stelle”.

-Alda Merini, da “Destinati a morire”-


Vengano infine

“Vengano infine le alte allegrie,

le ardenti aurore, le notti calme,

venga la pace agognata, le armonie,

e il riscatto del frutto, e il fiore delle anime.

Che vengano, amor mio, perché questi giorni

son di stanchezza mortale,

di rabbia e agonia

e nulla”.

-Josè Saramago-

-Paolo Silenziario-

Secondo ricordo

“Anche prima,

molto prima della rivolta delle ombre,

e che nel mondo cadessero piume incendiate

e un uccello potesse essere ucciso da un giglio.

Prima,

prima che tu mi domandassi

il numero e il sito del mio corpo.

Assai prima del corpo

Nell’epoca dell’anima.

Quando tu apristi nella fronte non coronata, del cielo,

la prima dinastia del sogno.

Allorché,

contemplandomi nel nulla,

inventasti la prima parola.

Allora,

il nostro incontro”.

-Rafael Alberti-

Ode a Psiche


“Ascolta, o Dea, questi versi dissonanti
Strappati dalla dolce violenza e dal ricordo caro;
E che sin entro la morbida conchiglia del tuo orecchio
Sian cantati i tuoi segreti, perdona.
Certo ho sognato, oggi, o davvero l’alata Psiche
Ho visto con i miei occhi aperti?
Giravo spensierato per un bosco
Quando di colpo estasiato per la sorpresa
Due belle creature vidi, coricate fianco a fianco,
Nell’erba folta, sotto un sussurrante tetto
Di foglie e tremuli fiori, ove un ruscello
Appena visibile scorreva:
Tra i taciti fiori dalle fresche radici, azzurri lunari,
Dolcemente profumati nei purpurei boccioli,
Giacevano con quieto respiro sopra un letto d’erba,
Le braccia intrecciate e le ali,
Solo le labbra non si toccavano, ché ancora non s’eran dette addio.
Come se sperate dalle mani dolci del sonno
Fosser pronte a superare il numero dei baci passati
Quando l’alba l’occhio tenero aprisse dell’amore nascente.
Conoscevo bene il fanciullo alato;
Ma tu, o felice colomba felice, chi eri?
La sua Psiche fedele!

Oh tu, ultima nata visione, più dolce
Sei di tutta la svanita gerarchia Dell’Olimpo,
Più bella di Diana nelle sue regioni di zaffiro,
Più bella di Venere, la lucciola amorosa del cielo,
Tu, la più bella sei, pur se tempio non hai,
Né altare colmo di fiori,
O coro di vergini che dolcemente piangano
La tua mezzanotte,
E non voce, o liuto, o flauto, o incenso squisito
Che fumi dal turibolo scosso,
O santuario, bosco, oracolo o ardore
Di profeta sognante della pallida bocca.

Tu, più splendida sei, pur troppo tardi nata
Per gli antichi voti o per l’ingenua lira appassionata,
Quando sacri erano i rami della foresta
Incantata, sacra era l’aria, l’acqua, il fuoco:
Pure, anche un questi giorni tanto lontani
Dalle fedi felici, le tue ali lucenti
Che volteggiano tra gli olimpi in rovina io vedo,
E canto, ai miei soli occhi credendo.
Si, lascia sia io il tuo coro e il pianto
Alzato per la tua mezzanotte,
Lascia si io la tua voce, il tuo liuto, il tuo flauto,
Il tuo incenso squisito che fuma dal turibolo scosso,
Il tuo santuario, il tuo bosco, il tuo oracolo e l’ardore
Di un profeta sognante dalla pallida bocca.

Voglio essere io il tuo sacerdote, e costruirti un tempio
Nelle inesplorate regioni della mia mente,
Dove ramosi pensieri, appena nati con piacevole dolore,
Mormoreranno al vento sostituendo i pini:
E lontano lontano, di vetta in vetta macchie oscure d’alberi
Vestiranno tutt’intorno i gioghi selvaggi dei monti
E zefiri, fiumi, uccelli e api culleranno
Nel sonno le driadi coricate sul muschio:
Tra questa ampia quiete
Adornerò un roseo santuario
Con la trama in intrecciata d’una mente al lavoro,
Con boccioli, campanule e stelle senza nome,
Con tutto ciò che l’alma fantasia sa inventare,
Lei, che creando fiori, sempre diversi li crea:
Per te sarà li ogni dolce piacere
Che l’ombroso pensiero può conquistare,
Una torcia splendente, un finestra aperta alla notte
Perché caldo l’amore vi possa entrare”.

-John Keats-

Autotomia

“In caso di pericolo, l’oloturia si divide in due:
dà un sé in pasto al mondo,
e con l’altro fugge.
Si scinde in un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà.
Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso
con due sponde subito estranee.
Su una la morte, sull’altra la vita.
Qui la disperazione, là la fiducia.
Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.
Se c’è giustizia, eccola.
Morire quanto necessario, senza eccedere.
Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato.
Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.
Da un lato la gola, il riso dall’altro,
un riso leggero, di già soffocato.
Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre piccole parole, soltanto, tre piume di un volo.
L’abisso non ci divide.
L’abisso ci circonda”.

-Wislawa Szymborska-

Se tu mi dimentichi

Non si levava ancor l’alba novella

“Non si levava ancor l’alba novella,
né spiegavan le piume
gli augelli al nuovo lume,
ma fiammeggiava l’amorosa stella,
quando i due vaghi e leggiadretti amanti,
ch’una felice notte aggiunse insieme
come a canto si volge i vari giri,
divise il nuovo raggio; e i dolci pianti
ne l’accoglienze estreme
mescolavan co’ baci e co’ sospiri.
Mille ardenti pensier, mille desiri,
mille voglie non paghe
in quelle luci vaghe
scopria quest’alma innamorata e quella.
E dicea l’una sospirando allora:
«Anima, addio», con languide parole;
e l’altra: «Vita, addio» le rispondea;
«addio, rimanti»; e non partiansi ancora
innanzi al nuovo sole.
E’nnanzi a l’alba che nel ciel sorgea
e questa e quella impallidir vedea
le bellissime rose
ne le labbra amorose
e gli occhi scintillar come facella.
E come l’alma che si parta e svella
fu la partenza loro:
«Addio, ché parto e moro!»
Dolce languir, dolce partita e fella!”

-Torquato Tasso-

Il madrigale di Claudio Monteverdi

Les feuilles mortes

Chanson du film Les portes de la nuit de Marcel Carné (1946)

interprétée par Yves Montand

Paroles: Jacques Prévert, musique: Joseph Kosma.

“Oh, je voudrais tant que tu te souviennes,
Des jours heureux où nous étions amis,
Dans ce temps là, la vie était plus belle,
Et le soleil plus brûlant qu’aujourd’hui.
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle,
Tu vois je n’ai pas oublié.
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle,
Les souvenirs et les regrets aussi,
Et le vent du nord les emporte,
Dans la nuit froide de l’oubli.
Tu vois, je n’ai pas oublié,
La chanson que tu me chantais…
C’est une chanson, qui nous ressemble,
Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais.
Nous vivions, tous les deux ensemble,
Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais.
Et la vie sépare ceux qui s’aiment,
Tout doucement, sans faire de bruit.
Et la mer efface sur le sable,
Les pas des amants désunis.
Nous vivions, tous les deux ensemble,
Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais.
Et la vie sépare ceux qui s’aiment,
Tout doucement, sans faire de bruit.
Et la mer efface sur le sable,
Les pas des amants désunis…”


GALLERIE SAINT-HUBERT, XIV

“Continua meraviglia
arcobaleno delle mie notti
fiume fiore carezza
innocente incantata
eco dei mie sguardi
felice lago dei miei sogni
docile innamorata
nube di primavera
maliarda che arrossisce
abbagliata senza rammarico
liana profumata
infiorescenza mattutina
tutto il mio amore
nell’universo del tuo amore.”

-André Souris-

Il n’y a pas d’amour heureux

“Rien n’est jamais acquis à l’homme Ni sa force
Ni sa faiblesse ni son coeur Et quand il croit
Ouvrir ses bras son ombre est celle d’une croix
Et quand il croit serrer son bonheur il le broie
Sa vie est un étrange et douloureux divorce
Il n’y a pas d’amour heureux

Sa vie Elle ressemble à ces soldats sans armes
Qu’on avait habillés pour un autre destin
A quoi peut leur servir de se lever matin
Eux qu’on retrouve au soir désoeuvrés incertains
Dites ces mots Ma vie Et retenez vos larmes
Il n’y a pas d’amour heureux

Mon bel amour mon cher amour ma déchirure
Je te porte dans moi comme un oiseau blessé
Et ceux-là sans savoir nous regardent passer
Répétant après moi les mots que j’ai tressés
Et qui pour tes grands yeux tout aussitôt moururent
Il n’y a pas d’amour heureux

Le temps d’apprendre à vivre il est déjà trop tard
Que pleurent dans la nuit nos coeurs à l’unisson
Ce qu’il faut de malheur pour la moindre chanson
Ce qu’il faut de regrets pour payer un frisson
Ce qu’il faut de sanglots pour un air de guitare
Il n’y a pas d’amour heureux

Il n’y a pas d’amour qui ne soit à douleur
Il n’y a pas d’amour dont on ne soit meurtri
Il n’y a pas d’amour dont on ne soit flétri
Et pas plus que de toi l’amour de la patrie
Il n’y a pas d’amour qui ne vive de pleurs
Il n’y a pas d’amour heureux
Mais c’est notre amour à tous les deux”

-poème de Louis Aragon mis en musique par Georges Brassens-

Verso il mare della dimenticanza (Lettera a A. D.)

“Non è necessario che tu mi ascolti, non è importante che tu senta le mie parole,
no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso
(eppure sapessi com’è strano, per me, scriverti di nuovo,
com’è bizzarro rivivere un addio…)
Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio.

Che vuoi che sia se non potrai vedere come qui ritorna primavera
mentre un uccello scuro ricomincia a frequentare questi rami,
proprio quando il vento riappare tra i lampioni, sotto i quali passavi in solitudine.
Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore.

Io sono qui, ancora a passare le ore in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire…

Difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto;
so bene quanto questo ti sia indifferente, e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza
della tua solitudine, per la tua coriacea fermezza,
per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona.

Tutto quello che valichi e rimuovi
tutto quello che lambisci e poi nascondi,
tutto quello che è stato e ancora è, tutto quello che cancellerai in un colpo
di sera, di mattina, d’inverno, d’estate o a primavera
o sugli spenti prati autunnali – tutto resterà sempre con me.

Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo,
un semplice peccato rimosso che permette però alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi
sull’amicizia che hai voluto concedermi
e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti.

Arrivederci, o magari addio.
Lìbrati, impossèssati del cielo con le ali del silenzio
oppure conquista, con il vascello dell’oblio, il vasto mare della dimenticanza.”

-Iosif Aleksandrovič Brodskij-

Élégie

Mélodie, poésie de Louis Gallet, musique de Jules Massenet

“Ô, doux printemps d’autrefois,

Vertes saisons,

Vous avez fui pour toujours !

Je ne vois plus le ciel bleu,

Je n’entends plus les chants joyeux des oiseaux !

En emportant mon bonheur ;

Ô bien-aimé, tu t’en es allé !

Et c’est en vain que revient le printemps !

Oui ! sans retour avec toi, le gai soleil,

Les jours riants sont partis !

Comme en mon cœur tout est sombre et glacé !

Tout est flétri …

Pour toujours !”

interprété par Rosa Ponselle (soprano italo-américaine, 1897-1981)

La luce che viene

“Perfino così tardi avviene:
l’amore che arriva, la luce che viene.
Ti svegli e le candele si sono accese forse da sé,
le stelle accorrono, i sogni entrano a fiotti nel cuscino,
sprigionano caldi bouquet d’aria.
Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono
e la polvere del domani s’incendia in respiro.”

-Mark Strand-

Vorrei

“Vorrei, allor che tu pallido e muto
pieghi la fronte tra le mani e pensi,
e ti splendon su l’animo abbattuto
i vani sogni e i desideri immensi:

vorrei per incantesimi d’amore
pianamente venire a ’l tuo richiamo,
e, su di te piegando come un fiore,
con dolce voce sussurrarti: Io t’amo!

Vorrei di tutte le mie sciolte chiome
cingerti con lentissima carezza,
e sentirmi da te chiamare a nome,
vederti folle della mia bellezza.

Vorrei per incantesimi d’amore

pianamente venire a ’l tuo richiamo,
e, su di te piegando come un fiore,
con dolce voce sussurrarti: Io t’amo!”

Gabriele D’Annunzio, con lo pseudonimo di Mario de’ Fiori

La magia della melodia da camera di Francesco Paolo Tosti, su testo di D’annunzio (in versione maschile), nell’interpretazione di Alfredo Kraus

I MIEI INCANTESIMI SONO INFRANTI

“I miei incantesimi sono infranti.
La penna mi cade,
impotente,
dalla mano tremante.
Se il mio libro é il tuo caro nome,
per quanto mi preghi,
non posso più scrivere.
Non posso pensare,
né parlare,
ahimé non posso sentire più nulla,
poiché non é nemmeno un’emozione,
questo immobile arrestarsi sulla dorata
soglia del cancello spalancato dei sogni,
fissando in estasi lo splendido scorcio,
e fremendo nel vedere,
a destra e a sinistra,
e per tutto il viale,
fra purpurei vapori,
lontano
dove termina il panorama
nient’altro che te.”

La figlia del cartografo

“La geografia dell’amore è terra infirma

è una barca di carta

governata da marinai

con stelle negli occhi

cartografi del fiammeggiante ignoto

è la mano sicura della donna

al timone del crepuscolo, la bussola

di sale del suo desiderio

la mappa della brama è sull’orlo

di due corpi distanti

è la pioggia che scaglia sete

è la foglia di palma fluttuante sulle acque

distante dalla riva

il passaggio segreto per l’entroterra

è nel mio intemperante estuario

la dolce e languida inflorescenza

è nel calibro delle tue mani

il moto circolare del nostro viaggiare

è il raggio del cielo e del mare, profonde

terre a cui diamo

il nostro nome”

-Anita Endrezze-

Da “Figlie di Pocahontas. Racconti e poesie delle indiane d’America”, Giunti ed.

IO TI OFFRO QUESTI VERSI…

“Io ti offro questi versi, non perché il tuo nome
Possa mai fiorire in questo suolo povero,
Ma perché tentare di ricordarsi,
Sono fiori recisi, il che ha senso.

Certi dicono, persi nel loro sogno, «un fiore»,
Ma significa non sapere che le parole tagliano,
se credono di designarlo, in quel che nominano,
Trasmutando ogni fiore in idea di fiore.

Tranciato il vero fiore diventa metafora,
Questa linfa che cola, è il tempo
Che finisce di liberarsi dal suo sogno.

Chi vuole avere, talvolta, la visita deve
Amare in un mazzo che abbia solo un’ora,
La bellezza non è offerta che a tal prezzo.”

-Yves Bonnefoy-

da “L’ora presente”(Mondadori, 2013), nella traduzione di Fabio Scotto

Lover, come back to me

René François Ghislain Magritte, Les Amants, 1928

René François Ghislain Magritte, Les Amants, 1928

Lyrics by Oscar Hammerstein II (1928)

“You went away
I let you
We broke the ties that bind
I wanted to forget you
And leave the past behind
Still, the magic of the night I met you
Seems to stay forever in my mind

The sky was blue
And high above
The moon was new
And so was love
This eager heart of mine was singing
Lover where can you be
You came at last
Love had its day
That day is past
You’ve gone away
This aching heart of mine is singing
Lover come back to me

When I remember every little thing
You used to do
I’m so lonely
Every road I walk along
I walk along with you
No wonder I am lonely
The sky is blue
The night is cold
The moon is new
But love is old
And while I’m waiting here
This heart of mine is singing
Lover come back to me

When I remember every little thing
You used to do
I grow lonely
Every road I walk along
I walk along with you
No wonder I am lonely
The sky is blue
The night is cold
The moon is new
But love is old
And while I’m waiting here
This heart of mine is singing
Lover come back to me…”

Lyrics by Oscar Hammerstein II, music by Sigmund Romberg (& others)

The song was performed by Lawrence Tibbett and Grace Moore in New Moon, the 1930 film directed by Jack Conway;

The Annette Hanshaw’s version, recorded in 1929:

5 HAIKU

Esiste o no
il sogno che smarrii
prima dell’alba?

*

Mute le corde.
La musica sapeva
quello che sento.

*

Sopra il deserto
avvengono le aurore.
Qualcuno lo sa.

*

L’oziosa spada
sogna le sue battaglie.
Altro è il mio sogno.

*

La luna nuova
Lei pure la guarda
da un’altra porta.

-Jorge Luis Borges-

da “La cifra” Mondadori, 1982, traduzione di Domenico Porzio

TELL ME MORE

(Tell me more and more and then some)

“Tell me more and more and then some

You know what I long to hear
I want more and more and then some
Of that “I love you only dear”

Tell me more and more and then some
The way that you feel and then
When you’ve told that old sweet story
And you’re through, start right in again
I’ve made that old mistake
Know the awful ache
Of a heart that’s double crossed
The waitin’s been so long
Hard to believ’in
If I’ve missed my guess, happiness is lost

Tell me more and more and then some
You know how I love that stuff
Whisper on from now
’til doomsday
But I never will hear enough

Tell me more and more and then some
The way that you feel and then
When you’ve told that old sweet story
And you’re through, start right in again
I’ve made that old mistake
Know the awful ache
Of a heart that’s double crossed
The waitin’s been so long
Hard to believ’in
If I’ve missed my guess, happiness is lost

Tell me more and more and then some
You know how I love that stuff
Whisper on from now
’til doomsday
But I never will hear enough…”

written and sung by Bille Holiday (1940):

DOMANDA DI PERDONO

“Molte volte ho turbato
la chiara tua pace divina
e molti degli oscuri,
profondi mali della vita
hai appreso da me.

Dimentica, perdona; come la nube
davanti alla placida luna io passo,
tu ritorni a splendere
in calma bellezza, tu dolce luce.”

– J. C. Friedrich Hölderlin –

JOË BOUSQUET

Notes sur la poésie:

Poète, ce que tu aimes, t’emportera le cœur, il ne resterait de toi que ta poussière,mais ta souffrance sera ta personne.

*

On ne remonte pas au jour sans passer par la poésie.

*

La poésie n’est plus l’attribut du poème, mais un attribut caché de ce qui existe, son horizon dans l’âme des hommes, c’est-à-dire l’horizon, dans ce qui aspire à l’être, de ce qui aspire à la mort.

*

La poésie est un sens de l’être et surréalise le réel.

*

La poésie est un appel nocturne hors de l’activité des hommes.

*

La plus grande découverte poétique a été annoncée par Rimbaud. Il a compris que les images n’étaient pas intérieures à la pensée, mais qu’elles étaient attachées aux mots et filles de leur sonorité. La pensée est fille de l’homme, la poésie est fille de l’esprit. La rime éveille la vision, parle à la rêverie. La poésie fait du voir avec de l’entendre.

La poesia, per Bousquet, è “un modo di chiamare il mondo” che libera il poeta da se stesso ma “gli restituisce il suo essere nella sua pienezza”- Aldo Carotenuto, Oltre la terapia psicologica, Bompiani, Milano, 2004 (Uno studio approfondito sulla vita di Joë Bousquet è contenuto in un precedente saggio, I sotterranei dell’anima, Bompiani, Milano, 1993)

Il sogno

“Caro amore,
per niente al mondo, solo per te,
avrei spezzato questo sogno beato,
era tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia –
fosti saggia a svegliarmi, e tuttavia
il mio sogno tu non spezzi, lo continui.
Tu così vera.
Il pensiero di te basta
a far dei sogni verità, delle favole storia.
Viene tra le mie braccia. Poiché ti parve meglio
ch’io non sognassi tutto il mio sogno,
viviamo il resto.

Come lampo, come luce di candela

i tuoi occhi, non il rumore, mi hanno svegliato,
e ti pensai
(tu ami la verità)
un Angelo a prima vista.
Ma quando vidi che vedevi il mio cuore
e sapevi i miei pensieri come un angelo non saprebbe,
quando vidi che sapevi ciò che sognavo e quando
l’eccesso di gioia mi avrebbe svegliato
e allora apparisti – confesso
non sarebbe che profano
pensare te altro da te.

Il giungere, il restare, ti hanno rivelato,

ma il levarti mi fa ora dubitare
che tu non sia più tu.
È debole quell’amore, forte quanto la paura,
non è tutto spirito, puro e coraggioso
se l’onore mischia e la paura e il pudore.
Forse, come le torce che devono essere pronte
vengono accese e poi spente,
così tu fai con me.
Vieni per accendermi, vai per ritornare.
E io di nuovo sognerò quella speranza,
ma per non morire.”

– John Donne –

(Traduzione di Rosa Tavelli)

Zefiro torna e ‘l bel tempo rimena

“Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,

e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,

et garrir Progne et pianger Philomena,

et primavera candida et vermiglia.

Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;

Giove s’allegra di mirar sua figlia;

l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;

ogni animal d’amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i più gravi

sospiri, che del cor profondo tragge

quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;

et cantar augelletti, et fiorir piagge,

e ’n belle donne honeste atti soavi

sono un deserto, et fere aspre et selvagge.”

-Francesco Petrarca, Canzoniere 310

musica di Claudio Monteverdi, dal Sesto libro dei madrigali a 5 voci, 6 [SV 108], (Venezia, 1614)

Zefiro torna

“Zefiro torna, e di soavi accenti

l’aer fa grato e ’l piè discioglie a l’onde

e, mormorando tra le verdi fronde,

fa danzar al bel suon su ’l prato i fiori.

Inghirlandato il crin Fillide e Clori

note temprando amor care e gioconde;

e da monti e da valli ime e profonde

raddoppian l’armonia gli antri canori.

Sorge più vaga in Ciel l’aurora, e ’l Sole

sparge più luci d’or; più puro argento

fregia di Teti il bel ceruleo manto.

Sol io, per selve abbandonate e sole,

l’ardor di due begli occhi e’l mio tormento,

come vuol mia ventura, hor piango, hor canto.”

-Ottavio Rinuccini-

musica di Claudio Monteverdi, dagli Scherzi musicali cioè arie et madrigali, 7 [SV 251] (Venezia 1632)

Puisque l’aube grandit…

Frédéric Bazille, “Portrait de Paul Verlaine comme une Troubadour”, 1868, Dallas Museum of Art.

“Puisque l’aube grandit, puisque voici l’aurore,

Puisque, après m’avoir fui longtemps, l’espoir veut bien

Revoler devers moi qui l’appelle et l’implore,

Puisque tout ce bonheur veut bien être le mien,

C’en est fait à présent des funestes pensées,

C’en est fait des mauvais rêves, ah ! c’en est fait

Surtout de l’ironie et des lèvres pincées

Et des mots où l’esprit sans l’âme triomphait.

Arrière aussi les poings crispés et la colère

À propos des méchants et des sots rencontrés;

Arrière la rancune abominable! arrière

L’oubli qu’on cherche en des breuvages exécrés!

Car je veux, maintenant qu’un Être de lumière

A dans ma nuit profonde émis cette clarté

D’une amour à la fois immortelle et première,

De par la grâce, le sourire et la bonté,

Je veux, guidé par vous, beaux yeux aux flammes douces,

Par toi conduit, ô main où tremblera ma main,

Marcher droit, que ce soit par des sentiers de mousses

Ou que rocs et cailloux encombrent le chemin;

Oui, je veux marcher droit et calme dans la Vie,

Vers le but où le sort dirigera mes pas,

Sans violence, sans remords et sans envie:

Ce sera le devoir heureux aux gais combats.

Et comme, pour bercer les lenteurs de la route,

Je chanterai des airs ingénus, je me dis

Qu’elle m’écoutera sans déplaisir sans doute;

Et vraiment je ne veux pas d’autre Paradis.”

***

Poiché l’alba si accende…

“Poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora,

poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente

a ritornare a me che la chiamo e l’imploro,

poiché questa felicità consente ad esser mia,

facciamola finita coi pensieri funesti,

basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto

basta con l’ironia e le labbra strette

e parole in cui uno spirito senz’anima trionfava.

E basta con quei pugni serrati e la collera

per i malvagi e gli sciocchi che s’incontrano;

basta con l’abominevole rancore! basta

con l’oblìo ricercato in esecrate bevande!

Perché io voglio, ora che un Essere di luce

nella mia notte fonda ha portato il chiarore

di un amore immortale che è anche il primo

per la grazia, il sorriso e la bontà,

io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,

da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,

camminare diritto, sia per sentieri di muschio

sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita

verso la meta a cui mi spingerà il destino,

senza violenza, né rimorsi, né invidia:

sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

E poiché, per cullare le lentezze della via,

canterò arie ingenue, io mi dico

che lei certo mi ascolterà senza fastidio;

e non chiedo, davvero, altro Paradiso.”

-Paul Verlaine-

Robert Desnos, J’ai tant rêvé de toi :

Caspar David Friedrich, "Un uomo, una donna davanti alla luna", 1819.

Caspar David Friedrich, “Un uomo, una donna davanti alla luna”, 1819.

“È già l’una passata.
A quest’ora tu sarai a letto.
Come un fiume d’argento
traversa la notte
la Via Lattea.
Io non ho fretta
e non ti voglio svegliare
con speciali messaggi.
Come si dice,
l’incidente è chiuso.
Il balletto dell’amore
s’è infranto contro la vita circostante.
Tu ed io
siamo pari.
Non vale la pena di citare
le offese
i dolori
e i torti reciproci.
Guarda com’è pacifico il mondo.
La notte
ha imposto al cielo
un tributo stellato.
È in ore come questa
che si sorge
e si parla ai secoli,
alla storia
alla creazione.”

-Vladimir Majakovskij-

(Traduzione di Serena Vitale)

Perché…

“mancava sempre un verso o una rima
per essere felice.

Ora dobbiamo pesare ogni cosa
sulla bilancia dei sogni.

Rumori confusi, incerto chiarore.
Inizia un nuovo giorno,

il mio libero niente,

il sognare che si frantuma.

Sono l’ora semplice
e l’acqua non intorbidita.

Ha parole il tempo, come l’amore”.

-Assemblage poétique-

Le seul fait de rêver est déjà très important…

“Je vous souhaite des rêves à n’en plus finir

et l’envie furieuse d’en réaliser quelques-uns.

Je vous souhaite d’aimer ce qu’il faut aimer

et d’oublier ce qu’il faut oublier.

Je vous souhaite des passions.

Je vous souhaite des silences.

Je vous souhaite des chants d’oiseaux au réveil

et des rires d’enfants.

Je vous souhaite de résister à l’enlisement,

à l’indifférence,

aux vertus négatives de notre époque.

Je vous souhaite surtout d’être vous.”

***

“Vi auguro sogni a non finire

la voglia furiosa di realizzarne qualcuno.

Vi auguro di amare ciò che si deve amare

e di dimenticare ciò che si deve dimenticare.

Vi auguro passioni.

Vi auguro silenzi.

Vi auguro il canto degli uccelli al risveglio

e risate di bambini

Vi auguro di resistere all’affondamento,

all’indifferenza,

alle virtù negative della nostra epoca.

Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.”

– Jacques Brel –

“Ci vorrebbero forse

altri vocaboli

parole nuove

linguaggio inventato

sorprendente ogni volta

all’osso più aderente

per coprire

d’un manto

meno consunto

di stoffa più robusta

le trame infinite

dei nostri percorsi

ci vorrebbero forse

meno immagini

offerte o imposte

perché nel buio nasca

e libera dilaghi

dei nostri sogni

l’onda.”

-Edith Dzieduszycka-

L’innamorata

Edvard Munch, “Bacio alla finestra”, 1892

Edvard Munch, “Bacio alla finestra”, 1892

“Questa è la mia finestra. È stato dolce
or ora il mio risveglio.
Credevo quasi di poter volare.
Fin dove giunge la mia vita
e ove ha inizio la notte?

Potrei pensare che ogni cosa
sia ancora Me all’intorno,
diafana come il fondo d’un cristallo,
offuscata, muta.

Potrei persino contenere
in me le stelle; tanto grande
sembra il mio cuore, e come
vorrebbe restituire libertà

a colui che forse incominciai
ad amare, forse a tenere stretto.
Estraneo, come pagina non scritta
il mio destino mi guarda.

Perché, come fui posta
in questa infinità
come un prato odorosa,
senza tregua agitata,

chiamando e a un tempo temendo
che qualcuno oda il grido,
e destinata
a perdermi in un altro.”

 -Rainer Maria Rilke-

“Quel fior che all’alba ride Il sole poi l’uccide,

E tomba ha nella sera.

È un fior la vita, la vita ancora.

L’occaso ha nell’aurora,

E perde in un sol dì la primavera.”

(Georg Friedrich Händel, HWV 192)

DE VELOURS ET DE SOIE

“Les fleurs sauvages
Les océans du monde
Les îles blondes
M’avaient toujours tenté

Finis les grands voyages
Finis les ciels oranges
Tous les frissons étranges
Tu me les as donnés

De velours et de soie
Comme ta chair parfumée
De lumière et de velours
Comme tes yeux

De rose et de lumière
Comme le goût de ta bouche
De sang et de rose fraîche
Comme tes joues

De feu, d’or et de sang
Comme un baiser que tu me donnes
D’argent de feu et d’or
Comme ton corps qui s’abandonne

De soleil et d’argent
Tes cheveux dans le vent mauve
De plaisir et de soleil
Comme une nuit dans tes bras”

-Boris Vian-

Serge Reggiani chante Boris Vian (Compositeur: Jimmy Walter)

APPARIZIONE

“La luna s’intristiva. Serafini in lacrime

sognanti, l’archetto tra le dita, nella calma

dei fiori vaporosi, traevano da viole morenti

bianchi singulti fluenti sulle azzurre corolle.

– Era il giorno benedetto del tuo primo bacio.

La mia fantasia, dedita a martirizzarmi,

s’inebriava abilmente del profumo di tristezza

che pure senza rammarico e delusione lascia

la raccolta d’un Sogno al cuore che l’ha colto.

Erravo, l’occhio fisso sul vecchio lastrico,

quando col sole sui capelli, nella strada

e nella sera, mi sei apparsa ridendo

e pensai di vedere la fata dal berretto di luce

che passava sui miei bei sogni di bimbo viziato

lasciando ogni volta dalle sue mani schiuse

nevicare bianchi fasci di stelle profumate.”

-Stéphane Mallarmé-

(traduzione di Andrea Giampietro)

The Man I Love

“Someday he’ll come along
The man I love
And he’ll be big and strong
The man I love
And when he comes my way
I’ll do my best to make him stay
He’ll look at me and smile
I’ll understand
Then in a little while
He’ll take my hand
And though it seems absurd
I know we both won’t say a word
Maybe I shall meet him Sunday
Maybe Monday, maybe not
Still I’m sure to meet him one day
Maybe Tuesday will be my good news day
He’ll build a little home
That’s meant for two
From which I’ll never roam
Who would, would you
And so all else above
I’m dreaming of the man I love”

-George and Ira Gershwin-

sung by Marion Harris (recorded in 1927)

sung by Billie Holiday (recorded in 1940)

performed by Ida Lupino (dubbed by Peg La Centra) in the omonymous film

(Raoul Walsh, 1947)

Per Vava

Marc Chagall, “ Portrait of Vava”, c.1955, Private Collection

Marc Chagall, “ Portrait of Vava”, c.1955, Private Collection

Con te io sono giovane
Quando laggiù gli alberi minacciano
E il cielo svanisce in lontananza
I tuoi occhi mi toccano

Quando ogni passo si perde sull’erba
Quando ogni passo sfiora le acque
Quando le onde mi fervono in testa
E dall’azzurro qualcuno mi chiama

Con te io sono giovane
Cadono i miei anni come foglie
E qualcuno colora le mie tele
Allora esse brillano di te

E sul tuo volto il sorriso è radioso
Più chiaro assai delle nubi più chiare
Allora io corro dove sei
Dove mi pensi e dove mi attendi”

-Marc Chagall-

(Traduzione di Plinio Acquabona)

La musica

Gustave Courbet, “Portrait de Charles Baudelaire” (1848), Musée Fabre, Montpellier

“Spesso la musica mi porta via come fa il mare. Sotto una volta di bruma o in un vasto etere metto vela verso la mia pallida stella. Petto in avanti e polmoni gonfi come vela scalo la cresta dei flutti accavallati che la notte mi nasconde; sento vibrare in me tutte le passioni d’un vascello che dolora, il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi sull’immenso abisso mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia, grande specchio della mia disperazione!”

-Charles Baudelaire-

Léo Ferré chante “La Musique” de Charles Baudelaire

DIZAIN D’AMOUR XLIX

« Tant je l’aimai qu’en elle encor je vis,
Et tant la vis que, maugré moi, je l’aime.
Le sens et l’âme y furent tant ravis
Que l’Œil faut que le cœur la désaime.
Est-il possible en ce degré suprême
Que fermeté son outrepas révoque ?
Tant fut la flamme en nous deux réciproque
Que mon feu luit quand le sien clair m’appert;
Mourant le sien, le mien tôt se suffoque,
Et ainsi elle en se perdant me perd. »

-Maurice Scève-

Délie-Object de Plus Haulte Vertu- poèmes dédié à la poétesse Pernette du Guillet

[1544]

***

Épitaphe pour Pernette du Guillet

“L’heureuse cendre aultresfois composée
En un corps chaste, ou Vertu reposa,
Est en ce lieu par les Graces posée
Parmy ses os, que Beaulté composa.

O Terre indigne: en toy son repos a
Le riche Estuy de celle Ame gentile,
En tout sçauoir sur tout aultre subtile,
Tant que les Cieulx, par leur trop grand enuie,
Avant ses iours l’ont d’entre nous rauie
Pour s’enrichir d’un tel bien mescogneu :
Au Monde ingrat laissant honteuse vie,
Et longue mort a ceulx qui l’ont congneu.”

-Maurice Scève-

[1545]

Atlante

“Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante: puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurre vene di fiumi,
numerare città,
traversare deserti.
Ma dai miei fiumi nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine
E dunque cosa conosci?
Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire: <<Qui fu la battaglia,
queste sono le sue silenziose Termopili>>.
Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale,
nè salisti furtivo
col mio Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque cosa conosci?”

-Margherita Guidacci-

Gli occhi del sogno

René Magritte, “La Promesse”, 1950

“Tu mi dicevi: – Voglio

che il bambino abbia gli occhi come i tuoi –

Io mi toccavo le palpebre,

fissavo il cielo

per sentirmi lo sguardo

diventare più azzurro.

Tu mi dicevi: – Voglio

per questo

che tu non pianga –

Oh, per rispetto

di quello che fu tuo,

per amore

di quello che hai amato:

vedi, non piango –

vedi, i miei occhi – ancora

puri ed azzurri –

portano il raggio del sogno,

parlano ancora

di lui – con il cielo.”

-Antonia Pozzi-

(dalla raccolta di poesie “Guardami: sono nuda”, Père Lachaise- Ed. Clichy-, 2014)

Miei pensieri…

Bernardo Strozzi, "Suonatrice di viola da gamba" (Barbara Strozzi), 1635-39, Gemäldegalerie (Dresden, Germany)

Bernardo Strozzi, “Suonatrice di viola da gamba” (Barbara Strozzi), 1635-39, Gemäldegalerie (Dresden, Germany)

“Miei pensieri, e che bramate?

Non mi state più a stordire.

le bellezze ch’adorate

non vi vogliono aggradire.

Se goder voi non sperate,

miei pensieri, e che bramate?

Miei capricci, omai cessate

di seguir chi vi dà pene:

quelle luci dispietate

mai per voi non sian’ serene.

Se in amor voi delirate,

miei capricci, omai cessate.

Mie speranze, v’ingannate!

Quel bel sen’ non è per voi:

altre labra venturate

godon’ ora i pomi suoi.

Troppo, ah troppo, vaneggiate!

Mie speranze, v’ingannate!”

-Barbara Strozzi-

Arietta for soprano and continuo from Ariette a voce sola op.6, Venezia 1657.

E la parola?

René Magritte, "La voix du sang", 1961, Collection privée, Bruxelles.

René Magritte, “La voix du sang”, 1961, Collection privée, Bruxelles.

“Sottile trasparenza.

Specchi dell’acqua

in cui si riflette il bosco

e si ripete la fortezza.

Acque profonde

in cui si moltiplicano gli arcani.

Non voglio il verbo

che strangoli la bellezza

nella bocca del lupo.

Voglio la parola

che scivoli per caverne terrestri

verso il palpito.”

-Carmen Yáñez-

Da “Latitudine dei sogni”, Guanda (La fenice), 2013

Dormi bambina

Hans Zatzka, “Sleeping Beauty”

Hans Zatzka, “Sleeping Beauty”

“Dormi,dormi
bambina mentre io veglio per te,
e sogna piccolo amore
che stretta sul cuore
riposi con me

Dormi,dormi
fin quando il sole
destarti vorrà
e sogna un dolce destino
quel solo destino
che unirci potrà

Giunga nell’alcova inargentata
lieve questo canto pieno d’amor

Dormi,dormi
bambina mentre io veglio per te,
e sogna piccolo amore
che stretta sul cuore
riposi con me”

canta Alberto Rabagliati

(versi e musica di Pintaldi-Bonfanti)

Un jour je te dirai

“Un jour je te dirai
C’est toi que j’aime
Alors j’inventerai
D’ardents poèmes
Pour toi je chanterai
Les mots suprêmes
Lorsque je te dirai:
C’est toi que j’aime.”

-André de Badet – Gorni Kramer-
interprète: Tino Rossi (1936)

George Frederic Watts, “Orpheus and Eurydice”, 1869, London, Royal Academy

George Frederic Watts, “Orpheus and Eurydice”, 1869, London, Royal Academy

… “Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.

Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.”

-Wisława Szymborska-

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Ricordati ragazzo

“Ricordati,
ragazzo mio ricordati,

l’amore è un gioco semplice,
facile, ma non sempre ahimè.
Tu sogni ancor,
tu tremi ancor,
ma sai l’amor
cos’è.
Ricordati,
ragazzo mio ricordati
che le parole “baciami, stringimi”
fanno poi soffrir.
Non credere,
non piangere,
dimentica,
sorridi al tuo destin.
Ricordati,
ragazzo mio ricordati
che le parole “baciami, stringimi”
fanno poi soffrir.
Non credere,
non piangere,
dimentica,
credi sol al destin.”

-Natalino Otto (1949)-

su testo di Devilli, musica di Eden Ahbez

“L’uomo è pauroso per superbia e riflessivo per calcolo; Desidera un momento, non s’innamora (che) quel tanto di tempo che basta per scrivere e per suggellare la speranza di un bacio. La donna affronta tutto quanto desidera per amore o per curiosità: va incontro all’ignoto e gode del pericolo: L’uomo non sa più tentare l’avventura; Don Giovanni è finito…in un aeroplano”

(lettera di Amalia Guglielminetti a Guido Gozzano, Beltesseno, Viù, 13-07-1909)

INCONTRO IN DIFFERITA

“Nessuno di noi ha rotto il silenzio.
I segreti, scambiati già da un pezzo.
E una voragine di secoli arrabbiati
Finiti sotto un suolo straniero.

Non ci viene in soccorso alcun versetto.
Abbiamo scordato i ritornelli
Dei nostri inni chiusi in un juke-box.
Non so in che lingua mi vorrai parlare,
Se lo farai. E soprattutto non so
Se vivi ancora nella stessa casa
O sei venuto dall’altra parte della gabbia.”

– Roberto Deidier –

(da Solstizio, Lo Specchio, Mondadori, 2014)

Mon cœur s’ouvre à ta voix

“Mon cœur s’ouvre à ta voix,

Comme s’ouvrent les fleurs
Aux baisers de l’aurore !
Mais, ô mon bien-aimé,
Pour mieux sécher mes pleurs,
Que ta voix parle encore !
Dis-moi qu’à Dalila
Tu reviens pour jamais,
Redis à ma tendresse
Les serments d’autrefois,
Ces serments que j’aimais !
Ah! réponds à ma tendresse !
Verse-moi, verse-moi l’ivresse !

Ainsi qu’on voit des blés
Les épis onduler
Sous la brise légère,
Ainsi frémit mon cœur,
Prêt à se consoler,
À ta voix qui m’est chère !
La flèche est moins rapide
À porter le trépas,
Que ne l’est ton amante
À voler dans tes bras !
Ah ! réponds à ma tendresse !
Verse-moi, verse-moi l’ivresse !”

(da Samson et Dalila”, opera lirica in tre atti su libretto di Ferdinand Lemaire
musica di Camille Saint-Saëns)

LODE ALLA DONNA

(Per un concerto)

“Con l’anima in gioia noi attraversavamo stretti e fiordi,

la felicità di vivere faceva erompere le nostre canzoni;

ovunque, sotto il fogliame,

nei gorgheggi degli uccelli

ritrovavamo la stessa ebbrezza che in noi stessi,

lo stesso desiderio di luce e di voluttà.

L’anima del poeta è come una pianta, in una tiepida giornata d’estate.

La linfa fermenta nel cuore dell’albero

e sotto l’azione misteriosa

le foglie nascono sui rami.

Così nell’anima del poeta il genio fermenta e fa schiudere la canzone.

Il bisogno di luce è la legge della vita.

Ed è in questa luce che deve vivere la donna.

In lei sola si trovano i germi della poesia

è sotto il suo sguardo che essi nascono e fruttificano

ed è a lei che tornano fatti poemi.

Che la donna sia dunque glorificata ovunque si canta

perch’essa è la gioia suprema nella primavera del poeta.”

TI HA CHIESTO

“Una ragazza ti ha chiesto: Che cosa è poesia?
Volevi dirle: Già il fatto che esisti, ah sì, che tu esisti,
e che nel tremore e stupore
che sono testimonianza del miracolo,
soffrendo mi ingelosisco della tua piena bellezza,
e che non posso baciarti e con te non mi posso giacere,
e che non ho nulla, e colui che è sprovvisto di doni
è costretto a cantare…

Ma non glielo hai detto, hai taciuto
e lei non ha udito quel canto…”

(in “Vladimír Holan, Una notte con Amleto”, Einaudi Editore.

Traduzione di Angelo Maria Ripellino)

Frédéric Bazille, “Portrait de Paul Verlaine comme une Troubadour”, 1868, Dallas Museum of Art.

-XX-

… “Pallido un debole presagio d’alba
riluceva all’orizzonte lontano:
il tuo sguardo fu il mattino.

Nessun altro rumore che il suo passo
sonoro incoraggiava il viaggiatore.
La tua voce mi disse: « Vai avanti! »”.

Angusto è – lo vedo – il tuo cuore per me

… “Ma non è nelle mie forze abbandonarti, dimenticarti,

ché il mondo si smagherebbe di tutti i colori,

e, in quella notte cieca, mute per sempre

diverrebbero tutte le folli fiabe e le folli canzoni”.

-Vladimir Sergeevič Solov’ëv-

(17 giugno 1892, trad. di Leone Pacini Savoj)

Alphonse Mucha, study for 'Poetry' (1898)

Alphonse Mucha, study for ‘Poetry’ (1898)

“Scrivi poesie
perché hai bisogno
di un posto
dove essere quello che non sei”.

-Alejandra Pizarnik-

Anelli del tempo

“Degli anelli del tempo, che si aggiungono
sempre nuovi, furono alcuni così stretti
che ne ricordo solo l’orrore di soffocare.
In altri, larghi e informi, vagai smarrita
senza un sostegno a cui aggrapparmi. I più,
pallidamente indifferenti, si ammucchiavano
gli uni sugli altri, subito saldandosi
senza nemmeno un segno di sutura.
Solo a pochi e per poco è tollerabile
riandare. Ma almeno questo, l’ultimo,
di cui oggi si chiude il cerchio, resta perfetto
nel mio cuore: cornice d’oro intorno
a uno specchio di gioia. Chiedo solo
di serbar quest’immagine. E che a te
uno stesso fulgore la riveli
e la circondi, allo scadere dell’ora,
nel tuo specchio gemello.”

-Margherita Guidacci-

Die Hexe

“Pensammo male l’uno dell’altra?…
eravamo troppo lontani.
Ma ora in questa capanna piccolissima,

attaccati al piuolo di un unico destino,
come potremmo ancora esser nemici?
Ci si deve pure amare,
quando non ci si può sfuggire.”

La tua voce

“Notte di tempesta

Questo cuore si ridesta

Ma perché non c’è tristezza in me

In questa casa oscura

Il cuore che non spera

sente una voce sussurrar:

“A te vorrei tornar”

E’ forse la tua voce

in questa notte di tempesta

che tormentandomi ridesta

una speranza nel mio cuor

E’ forse la tua voce

in questa notte d’uragano

che m’accarezza e cerca invano

di risvegliare un grande amor

Ovunque sei

se tu m’invochi verrò

Ovunque sei

tra le tue braccia rivivrò

E’ forse la tua voce…

-Carlo Buti-

(Alu-Nisa)

XVIII

“Cuando yo alcé los ojos a mirarte

(por tu bien o tu mal),

para mirarme alzabas tú los ojos

(por mi bien o mi mal).

Esa palabra que iba yo a decir

(¿de bendición o maldición sería?)

se te asomó a los labios, sin decirla.

(De bendición o maldición sería).

Nunca fuiste primera ni yo último.

(¿En qué final o para qué comienzo?)

Nunca el primero yo ni tú la última.

(¿En qué final o para qué comienzo?)

Los dos exactamente a un tiempo mismo.

y así todos los actos se abolieron

(ir yo hacia tí, venir tú a mí)

en la inutilidad de todo acto

(ir yo hacia tí, venir tú a mí)

previsto ya al nacer por otro idéntico.

y así la identidad que nos unía

(tú y yo perdidos o tú y yo salvados)

separó nuestras vidas para siempre.

(Tú y yo salvados o tú y yo perdidos).”

PEDRO SALINAS –

“Presagios” (1924)

***

“Quando io sollevai gli occhi per guardarti

(per tuo bene o tuo male)

tu per guardarmi sollevavi gli occhi

(per mio bene o mio male).

Quella parola che stavo per dire

(Cos’era, a benedire o maledire?)

ti si affacciò alle labbra senza dirla.

(Cos’era, a benedire o maledire?).

Non fosti mai la prima né io l’ultimo.

(In quale fine o per quale principio?)

Non fui mai io il primo né tu l’ultima.

(In quale fine o per quale principio?)

Noi due esattamente al tempo stesso.

E ogni azione così venne abolita

(venire io da te, e tu da me)

nell’inutilità di ogni altra azione

(venire io da te, e tu da me)

già prevista all’inizio da una identica

Così l’identità che ci legava

(tu ed io perduti o tu ed io salvati)

le nostre vite disgiunse per sempre.

(Tu ed io salvati o tu ed io perduti)”

Piensa en mi

“Si tienes un hondo penar
piensa en mí;
si tienes ganas de llorar
piensa en mí.
Ya ves que venero
tu imagen divina,
tu párvula boca
que siendo tan niña,
me enseñó a besar.

Piensa en mí
cuando beses,
cuando llores
también piensa en mí.

Cuando quieras
quitarme la vida,
no la quiero para nada,
para nada me sirve sin ti.”

-Agustín Lara-

Sonetto I

René Magritte, “Les amants IV”, 1928

René Magritte, “Les amants IV”, 1928

“Che noi si scriva, si parli o solo si sia visti
rimaniamo evanescenti. E tutto il nostro essere
non può in parola o in volto giammai trasmutarsi.
L’anima nostra è da noi immensamente lontana:
per quanta forza si imprima in quei nostri pensieri,
mostrando l’anime nostre con far da vetrinisti,
Indicibili i nostri cuori pur sempre rimangono.
Per quanto di noi si mostri continuiamo ignoti.
L’abisso tra le anime non può esser collegato
da un miraggio della vista o da un volo del pensiero.
Nel profondo di noi stessi restiamo ancora celati
quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo.
Siamo i sogni di noi stessi, barlumi di anime,
e l’un per l’altro resta il sogno dell’altrui sogno.”

Reminiscencia

“Un breve instante se cruzaron
tu mirada y la mía.

Y supe de repente
-no sé si tú también-
que en un tiempo
sin años ni relojes,
otro tiempo,
tus ojos y mis ojos
se habían encontrado,
y esto de ahora
no era más que un eco,
la ola que regresa,
atravesando mares,
hasta la antigua orilla.”

***

Reminiscenza

“Si incrociarono un breve istante
il tuo sguardo e il mio.

E seppi all’improvviso
– non so se anche tu –
che in un tempo
senza anni né orologi,
un altro tempo,
i tuoi occhi e i miei
si erano incontrati,
e quella di allora
non era che un’eco,
l’onda che ritorna,
attraversando mari,
all’antica spiaggia.”

-Meira Delmar-

Somewhere Over the Rainbow

Judy Garland in a scene from the 1939 film "The Wizard of Oz"

Judy Garland in a scene from the 1939 film “The Wizard of Oz”

“Somewhere over the rainbow

Way up high,
There’s a land that I heard of
Once in a lullaby.

Somewhere over the rainbow
Skies are blue,
And the dreams that you dare to dream
Really do come true.

Someday I’ll wish upon a star
And wake up where the clouds are far
Behind me.
Where troubles melt like lemon drops
Away above the chimney tops
That’s where you’ll find me.

Somewhere over the rainbow
Bluebirds fly.
Birds fly over the rainbow.
Why then, oh why can’t I?

If happy little bluebirds fly
Beyond the rainbow
Why, oh why can’t I?”

-music by Harold Arlen and lyrics by E.Y. Harburg-

Vita

“Le lingue dell’acqua

si riversano negli alvei

dalla valle.

La terra ferita

smette il lutto.

Albeggia.

Ci sono semi, amore,

ancora

sotto il segreto delle ore morte.”

-Carmen Yáñez-

(Da “Latitudine dei sogni”, Guanda, 2013,

traduzione di Roberta Bovaia)

Razón de Amor

…Nos hemos encontrado

allí. ¿Cómo, el encuentro?

¿Fue como beso o llanto?
¿Nos hallamos
Con las manos, buscándonos
A tientas, con los gritos,
Clamando; con las bocas
Que el vacío besaban?
¿Fue un choque de materia
Y materia, combate
De pecho contra pecho,
Que a fuerza de contactos
Se convirtió en victoria
Gozosa de los dos,
En prodigioso pacto
De tu ser con mi ser
Enteros?
¿O tan sencillo fue,
Tan sin esfuerzo, como
Una luz que se encuentra
Con otra luz, y queda
Iluminado el mundo,
Sin que nada se toque?
Ninguno lo sabemos.
Ni el dónde. Aquí, en las manos,
Como las cicatrices,
Allí, dentro del alma,
Como un alma del alma,
Pervive el prodigioso
Saber que nos hallamos,
Y que su dónde está
Para siempre cerrado.
Ha sido tan hermoso
Que no sufre memoria,
Como sufren las fechas,
Los nombres o las líneas.
Nada en ese milagro
Podría ser recuerdo:
Porque el recuerdo es
La pena de sí mismo,
El dolor del tamaño,
Del tiempo, y todo fue
Eternidad: relámpago.
Si quieres recordarlo
No sirve el recordar.
Sólo vale vivir
De cara hacia ese dónde,
Queriéndolo, buscándolo.

-Pedro Salinas-

(Versos 341 a 370)

***

“Lì ci siamo incontrati.
Com’è stato l’incontro?
Fu come bacio o pianto?
Ci trovammo
con le mani, cercandoci
a tentoni, con grida,
urlando, con le bocche
che baciavano il vuoto?
Fu un urto tra materia
e materia, battaglia
di petto contro petto,
a forza di contatti
trasformata in vittoria
esaltante di entrambi,
un patto portentoso
del tuo essere col mio
interamente?
O fu invece così
facile e senza sforzo,
come una luce incontra
altra luce, ed il mondo
ne resta illuminato
senza nulla sfiorarsi?
Questo non lo sappiamo.
Né dove. Sulle mani,
qui, come cicatrici,
o laggiù dentro l’anima,
come anima dell’anima,
perdura il portentoso
sapere che ci siamo
trovati, e che il suo dove
è per sempre precluso.
È stato così bello
che non soffre memoria
come invece le date,
i nomi, o le linee.
Nulla di quel miracolo
potrebbe esser ricordo:
perché il ricordo è
la pena di se stesso,
dolore di grandezze,
del tempo, e tutto è stato
eternità: un lampo.
E se vuoi ricordarlo
ricordare non serve.
Vale soltanto vivere
con quel dove davanti,
amandolo, cercandolo.

(da “Ragione d’amore”)

De todo (quedaron) tres cosas

“De todo, quedaron tres cosas:
la certeza de que estaba siempre comenzando,
la certeza de que había que seguir
y la certeza de que sería interrumpido antes de terminar.

Hacer de la interrupción un camino nuevo,
hacer de la caída, un paso de danza,
del miedo, una escalera,
del sueño, un puente,

de la búsqueda…un encuentro.”

-Fernando Pessoa-

***

Di tutto restano tre cose:
la certezza che stiamo sempre iniziando,
la certezza che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza che saremo interrotti prima di finire.

Pertanto, dobbiamo fare dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno, un ponte,

del bisogno…un incontro.”

La Plus Belle Des Mers

Yves Montand chante Nâzım Hikmet-Ran

Le cœur s’est fermé dans l’amour

André Blondel, “Portrait de Joë Bousquet” - musée de Narbonne -

André Blondel, “Portrait de Joë Bousquet” – musée de Narbonne –

… “Tout ce qui chante est entré dans leur sang,

en arracha la nuit et cette nuit d’outre noir

a fait monde qui les éloigne,

et les unit avec la mémoire d’un cœur

qui se ferme dans l’amour.”

***

… “Tutto ciò che canta è entrato nel loro sangue,

strappandone la notte e questa notte oltre il nero

ha creato il mondo che li allontana,

e li unisce con la memoria di un cuore

che si ferma nell’amore.”

-Joë Bousquet-

“Mi nasconda la notte e il dolce vento.
Da casa mia cacciato e a te venuto
mio romantico amico fiume lento.

Guardo il cielo e le nuvole e le luci
degli uomini laggiù così lontani
sempre da me. Ed io non so chi voglio
amare ormai se non il mio dolore.

La luna si nasconde e poi riappare
– lenta vicenda inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di guardare.”

-Sandro Penna-

da “Poesie (1927-1938)”, in “Sandro Penna, Poesie”, Garzanti, 1989

“You are tired,
(I think)
Of the always puzzle of living and doing;
And so am I.

Come with me, then,
And we’ll leave it far and far away—
(Only you and I, understand!)

You have played,
(I think)
And broke the toys you were fondest of,
And are a little tired now;
Tired of things that break, and—
Just tired.
So am I.

But I come with a dream in my eyes tonight,
And knock with a rose at the hopeless gate of your heart—
Open to me!
For I will show you the places Nobody knows,
And, if you like,
The perfect places of Sleep.

Ah, come with me!
I’ll blow you that wonderful bubble, the moon,
That floats forever and a day;
I’ll sing you the jacinth song
Of the probable stars;
I will attempt the unstartled steppes of dream,
Until I find the Only Flower,
Which shall keep (I think) your little heart
While the moon comes out of the sea.”

***

“Tu sei stanca,
(Credo)
Dell’eterno puzzle di vivere e agire;
Anch’io.

Vieni con me, allora,
E andiamocene molto lontano —
(Io e te soli, capito!)

Hai giocato,
(Credo)
E hai rotto i tuoi giocattoli più cari,
E ora sei un po’ stanca;
Stanca di cose che si rompono —
Solo stanca.
Anch’io.

Ma vengo con un sogno negli occhi stasera,
E busso con una rosa alla porta del tuo cuore disperato —
Aprimi!
Ti mostrerò luoghi che Nessuno conosce
E, se vuoi,
I posti perfetti per dormire.

Ah, vieni con me!
Soffierò quella bolla meravigliosa, la luna,
Che galleggia sempre e un giorno
Ti canterò la canzone giacinto
Delle stelle probabili;
Mi avventurerò per le tranquille steppe del sogno,
Fino a trovare l’Unico Fiore,
che serba (credo) il tuo piccolo fiore
Quando la luna sorge dal mare.”

-Edward Estlin Cummings-

RIMANI

“Rimani! Riposati accanto a me.
Non te ne andare.

Io ti veglierò. Io ti proteggerò.

Ti pentirai di tutto fuorché d’essere venuto a me,
liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;

non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.

Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia

Rimani.
Riposati. Non temere di nulla.

Dormi stanotte sul mio cuore….”

-Gabriele d’Annunzio-

La parola impossibile

A. Bierstadt, "Indian canoe", 1886, Blanton Museum of Art

A. Bierstadt, “Indian canoe”, 1886, Blanton Museum of Art

“Mi hanno dato il silenzio per serbare dentro di me
la vita che non si scambia con parole.
Me l’hanno dato per serbare dentro di me
le voci che solo in me sono vere.
Me lo hanno dato per serbare dentro di me
l’impossibile parola della verità.
Mi hanno dato il silenzio come una parola impossibile,
nuda e chiara come il fulgore di una lama invincibile,
per serbare dentro di me,
per ignorare dentro di me,
l’unica parola senza travestimento
la Parola che mai si proferisce.”

-Adolfo Casais Monteiro-

“A quel tempo cercavo i tramonti, i sobborghi e l’infelicità;

ora cerco i mattini, il centro e la serenità”.

-Jorge Luis Borges-

(Fervore di Buenos Aires – Adelphi -Milano, 2010).

È l’amore

“Sono il mittente, il latore, o chi,
ricevuto il messaggio, non sa aprirlo
o non osa, e rigira tra le mani
il plico oscuro, (forse il suo domani?).
Ho viaggiato seguendo anch’io la rotta
del sole nella immaginaria grotta
del cielo, non foss’altro per udire
lo sciacquìo del Pacifico su coste
friabili…

E forse ho creduto
che dinanzi ai miei occhi quasi inabili
lo stesso e il diverso coincidessero.
Dovevo trovare qualcuno, e
non ho fatto che una serie di frecce
indicanti che più in là, forse più in là…

Forse più in là ritroverai la dimora,
la sconosciuta per eccellenza,
la tua di cui non puoi fare senza,
anima, che se qualcuno la sorveglia,
se il tuo essere non è ancora un’essenza.

Smuovi ancora una volta la nidiata
dei fanciulli assiepati sulla soglia.
Entra. O chi entra con te, per te?
Lì troverai chi non può rispondere
a te, forse all’altro. Lì vedrai
l’inutile messaggio necessario
volatilizzarsi nelle tue mani.

Se devi essere dove non puoi essere.
Ma il raggiro è lento, compensato.
Se uno è stato dove non è stato.
È l’amore che ronza come un’ape
vicino al fiore. Il polline è incantato.

Ma il salvatore non si è salvato.”

-Piero Bigongiari-

da “L’eruzione solare della notte”,

in “Dove finiscono le tracce” (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996

VENTI

J.W. Waterhouse, “Windflowers”, 1903, Private Collection.

… “Oh memoria, come raffiche di venti
vaghi oltre vicinanze e lontananze
e lasci la tragedia indietro.
Solitamente qui nella parola”.

-Nguyen Chi Trung-

Da “VENTI”- VIII- collana Scilla, Samuele Editore, 2014.

La luce

Silent movie actress Claire Windsor

Silent movie actress Claire Windsor

“Quella luce che sento
entrarmi in petto quando vedo te
non è forse una goccia della luce
creata il primo giorno,
dal profondo assetata d’esistenza?

Giaceva il nulla in agonia,
nel buio errava, solo, quando diede
l’Inconoscibile un segnale:
“Luce!”

Un mare
un’insensata tempesta di luce
dilagò in un istante:
era come una sete di peccati, di desideri, di patemi e slanci
una sete di mondo e di sole.

Dov’è sparita l’accecante
luce d’allora — chi lo sa?

Quella luce che sento entrarmi in petto
quando ti vedo — angelo mio,
forse è l’ultima goccia
della luce creata il primo giorno”.

-Lucian Blaga-

da “I poemi della luce”, Garzanti Editore, 1989

Filamenti di sole

“Filamenti di sole,
sopra lo squallore grigionero.
Un pensiero ad altezza
d’albero s’appropria il tono
che è della luce: ancora
vi sono melodie da cantare
al di là degli uomini.”

-Paul Celan-

Sei una lucciola

“Ho deciso di strapparmi la memoria a pugni
e dimenticarti come il giornale di ieri
anche se resto senza oroscopo mordendomi le unghie

perché mentre io
spruzzo i cimiteri con cannella
cammino con Truffaut sul bordo dei marciapiedi
e sono un’orchidea che sa scegliere le sue albe
tu
mi offri l’amore col coprifuoco
adorni il mio letto con lattughe
tessi angoli retti con parole
e crei favole senza pane

e poi
che peccato
non sai baciarmi dentro
non hai guardato mai le palme delle mie mani
e non comprendi il mio modo di sequestrare la luna

sei una lucciola nei miei giorni
e un poco di mercurio nella mia estate.”

-Lucía Rivadeneyra-

You Don’t Know What Love Is

“You don’t know what love is

Until you’ve learned the meaning of the blues
Until you’ve loved a love you’ve had to lose
You don’t know what love is

You don’t know how lips hurt
Until you’ve kissed and had to pay the cost
Until you’ve flipped your heart and you have lost
You don’t know what love is

Do you know how a lost heart fears?
The thought of reminiscing
And how lips that taste of tears
Lose their taste for kissing

You don’t know how hearts burn
For love that cannot live yet never dies
Until you’ve faced each dawn with sleepless eyes
You don’t know what love is

You don’t know how hearts burn
For love that cannot live yet never dies
Until you’ve faced each dawn with sleepless eyes
You don’t know what love is
What love is…”

written by Don Raye (lyrics) and Gene de Paul (music)

Psyché devant le château d’amour

"Landscape with Psyche outside the Palace of Cupid" (The Enchanted Castle) by Claude Lorrain (Claude Gellée), 1664. © National Gallery, London

“Landscape with Psyche outside the Palace of Cupid” (The Enchanted Castle) by Claude Lorrain (Claude Gellée), 1664.
© National Gallery, London

“Il rêva qu’il ouvrait les yeux, sur des soleils
Qui approchaient du port, silencieux
Encore, feux éteints; mais doublés dans l’eau grise
D’une ombre où foisonnait la future couleur.

Puis il se réveilla.
Qu’est-ce que la lumière?
Qu’est-ce que peindre ici, de nuit?
Intensifier
Le bleu d’ici, les ocres, tous les rouges,
N’est-ce pas de la mort plus encore qu’avant?

Il peignit donc le port mais le fit en ruine,
On entendait l’eau battre au flanc de la beauté
Et crier des enfants dans des chambres closes,
Les étoiles étincelaient parmi les pierres.

Mais son dernier tableau, rien qu’une ébauche,
Il semble que ce soit
Psyché qui, revenue,
S’est écroulée en pleurs ou chantonne, dans l’herbe
Qui s’enchevêtre au seuil du château d’Amour.”

-Yves Bonnefoy-

***

Psiche davanti al castello d’amore

“Sognò che apriva gli occhi, su soli
Che s’avvicinavano al porto, ancora
Silenziosi, fari spenti; ma raddoppiati nell’acqua grigia
Da un’ombra in cui cresceva il futuro colore.

Poi si risvegliò. Che cos’è la luce?
Che cos’è dipingere qui, di notte? Intensificare
Il blu di qui, gli ocra, tutti i rossi,
Non è la morte ancor piú di prima?

Quindi dipinse il porto ma lo fece in rovina,
Si sentiva l’acqua battere al fianco della bellezza
E i bambini gridare dentro camere chiuse,
Le stelle scintillavano tra le pietre.

Ma il suo ultimo quadro, soltanto uno schizzo,
Sembra essere Psiche che, tornata,
Si è accasciata in lacrime o canticchia, nell’erba
Che s’aggroviglia alla soglia del castello d’Amore.”

(Traduzione di Fabio Scotto)

Atto d'amore

Atto d’amore

… “Non parlo di un brusio atterrito nel buio

parlo del giorno e delle finestre aperte

e dell’aria fresca

e delle cose inutili da ardere nel fuoco

e della terra feconda di una nuova semina,

della nascita, dell’eterno, dell’orgoglio.

Parlo delle nostre mani innamorate

che sopra le notti hanno costruito un ponte

con il messaggio di luce del profumo e della brezza”…

-Forugh Farrokhzad-

da “Un’altra nascita”

Da “Cento poesie d'amore a Ladyhawke”, Einaudi, 2007.

Da “Cento poesie d’amore a Ladyhawke”, Einaudi, 2007.

“Facilis descensus Averno:
noctes atque dies patet atri ianua Ditis;
sed revocare gradum superasque evadere ad auras,
hoc opus, hic labor est.”

-Publio Virgilio Marone-

(Eneide, VI, 126-129)

***

“Scendere agli Inferi è facile:

la porta di Dite è aperta notte e giorno;

ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo,

qui sta il difficile, qui la vera fatica.”

La poésie-scène trait du film de Philippe Garrel, “Les Amants Reguliers”

“Il me manque le repos,

la douce insouciance

qui fait de la vie un miroir

où tous les objets se peignent un instant,

et sur lequel tout glisse.

Une dette pour moi est un remords.

L’amour, dont, vous autres,

vous faites un passe-temps,

trouble ma vie entière…”

Alfred de Musset-

“Les caprices de Marianne” (Cœlio)

court-métrage

Les Plaintes d’un Icare

“Les amants des prostituées
Sont heureux, dispos et repus;
Quant à moi, mes bras sont rompus
Pour avoir étreint des nuées.

C’est grâce aux astres nonpareils,
Qui tout au fond du ciel flamboient,
Que mes yeux consumés ne voient
Que des souvenirs de soleils.

En vain j’ai voulu de l’espace
Trouver la fin et le milieu;
Sous je ne sais quel oeil de feu
Je sens mon aile qui se casse;

Et brûlé par l’amour du beau,
Je n’aurai pas l’honneur sublime
De donner mon nom à l’abîme
Qui me servira de tombeau.”

– Charles Baudelaire, “Les Fleurs Du Mal”

***

I lamenti di un Icaro

“Gli amanti delle prostitute

sono felici, sazi e riposati;

quanto a me, ho le braccia rotte

per aver abbracciato nuvole.

E’ grazie ad astri incomparabili,

sfolgoranti in fondo al cielo,

che i miei occhi consunti

vedono soltanto ricordi di soli.

Invano ho voluto nello spazio

trovare la fine e il centro;

sotto un occhio di fuoco sconosciuto

sento la mia ala spezzarsi;

E arso dall’amore del bello,

non avrò l’onore sublime

di dare il nome all’abisso

che mi farà da sepoltura.”

– Charles Baudelaire, da “I fiori del male”

Entro in questo amore

“Entro in questo amore come in una cattedrale,
come in un ventre oscuro di balena.
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.

Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni.

Prima di entrare nella grande navata,
vivevo lieta, ero contenta di poco.
Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada,
relega nel nulla tutto quanto non sei.”

-Maria Luisa Spaziani-

“L’amour est une fleur délicieuse, mais il faut avoir le courage d’aller la cueillir sur les bords d’un précipite affreux.”

-Stendhal-

***

“L’amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andarlo a cogliere

sull’orlo di un abisso spaventoso”

“Scontento di tutto e scontento di me, vorrei riscattarmi, vorrei un poco inorgoglirmi nel silenzio e nella solitudine della notte. Anime di chi ho amato, anime di chi ho cantato, datemi la forza, sorreggetemi, allontanatemi dalla menzogna e dalle esaltazioni corruttrici del mondo, e tu, Signore mio Dio! dammi la grazia di produrre qualche bel verso che provi a me stesso che non sono l’ultimo degli uomini, che non sono inferiore a quelli che disprezzo!”

The Snow Man

“One must have a mind of winter

To regard the frost and the boughs

Of the pine-trees crusted with snow;

And have been cold a long time

To behold the junipers shagged with ice,

The spruces rough in the distant glitter

Of the January sun; and not to think

Of any misery in the sound of the wind,

In the sound of a few leaves,

Which is the sound of the land

Full of the same wind

That is blowing in the same bare place

For the listener, who listens in the snow,

And, nothing himself, beholds

Nothing that is not there and the nothing that is.”

-Wallace Stevens-

***

“Si deve avere una mente d’inverno
per guardare il gelo e i rami
Dei pini incrostati di neve;

E avere freddo da molto tempo
Per vedere i ginepri irti di ghiaccio,
gli abeti ruvidi nel luccichio lontano

Del sole di gennaio; e non pensare
Ad ogni pena nel suono del vento,
Nel suono di poche foglie,

Che è il suono della terra
Percorsa dallo stesso vento
Che soffia nello stesso nudo luogo

Per l’ascoltatore, che ascolta nella neve,
E, nulla in sé, vede
Nulla che non sia lì e il nulla che è.”

“Mancava un palloncino nella mia vita
da appendere sui muri
da tenere come un gioco di carta.
Mancava un palloncino
che mi scoppiasse tra i denti
mancava l’onda di un vecchio mare perduto
mancava l’ombra, la sconclusione
il vile ricatto della vita.
Poi sei venuto tu che eri un amore
e mi hai lasciata sola.”

-Alda Merini-

-Sonnet XXX-

“When to the sessions of sweet silent thought
I summon up remembrance of things past,
I sigh the lack of many a thing I sought,
And with old woes new wail my dear time’s waste:
Then can I drown an eye, unused to flow,
For precious friends hid in death’s dateless night,
And weep afresh love’s long since cancelled woe,
And moan the expense of many a vanished sight:
Then can I grieve at grievances foregone,
And heavily from woe to woe tell o’er
The sad account of fore-bemoaned moan,
Which I new pay as if not paid before.
But if the while I think on thee, dear friend,
All losses are restored and sorrows end.”

***

“Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.”

VOLTA ATÉ MIM NO SILENCIO DA NOITE

“Volta até mim no silêncio da noite
a tua voz que eu amo, e as tuas palavras
que eu não esqueço. Volta até mim
para que a tua ausência não embacie
o vidro da memoria, nem o transforme
no espelho baço dos meus olhos. Volta
com os teus lábios cujo beijo sonhei num estuário
vestido com a mortalha da névoa; e traz
contigo a maré cheia da manhã com que
todos os náufragos sonharam.”

***

TORNA DA ME NEL SILENZIO DELLA NOTTE

“Torna da me nel silenzio della notte
voce che amo, e le tue parole
che mai dimentico. Torna da me
perché la tua assenza non appanni
il vetro della memoria, né lo trasformi
nello specchio opaco dei miei occhi. Torna
con le labbra di cui sognai il bacio in un estuario
rivestito del sudario della nebbia; e trascina
con te l’alta marea del mattino che ogni
naufrago ha sognato.”

-Nuno Júdice-

(da: “A te che chiamo amore” Kolibris ed.
Traduzione di Chiara De Luca )

Ricordo di Marie A.

“Un giorno di settembre, il mese azzurro,
tranquillo sotto un giovane susino
io tenni l’amor mio pallido e quieto
tra le mie braccia come un dolce sogno.
E su di noi nel bel cielo d’estate
c’era una nube ch’io mirai a lungo:
bianchissima nell’alto si perdeva
e quando riguardai era sparita.

E da quel giorno molte molte lune
trascorsero nuotando per il cielo.
Forse i susini ormai sono abbattuti:
Tu chiedi che ne è di quell’amore?
Questo ti dico: più non lo ricordo.
E pure certo, so cosa intendi.
Pure il suo volto più non lo rammento,
questo rammento: l’ho baciato un giorno.

Ed anche il bacio avrei dimenticato
senza la nube apparsa su nel cielo.
Questa ricordo e non potrò scordare:
era molto bianca e veniva giù dall’alto.
Forse i susini fioriscono ancora
e quella donna ha forse sette figli,
ma quella nuvola fiorì solo un istante
e quando riguardai sparì nel vento.”

-Bertolt Brecht-

Let Her Go

-Michael David Rosenberg-better known as Passenger-

“Nous sommes écartelés entre l’avidité de connaître
et le désespoir d’avoir connu. L’aiguillon ne renonce pas
à sa cuisson et nous à notre espoir”.

“Siamo divisi tra la brama di conoscere
e la disperazione di aver conosciuto.
La spina non rinuncia al suo morso,
noi alla nostra speranza”.

***

Le banc d’ocre

“Par une terre d’Ombre et de rampes sanguines nous
retournions aux rues. Le timon de l’amour ne nous
dépassait pas, ne gagnait plus sur nous. Tu ouvris ta
main et m’en montras les lignes. Mais la nuit s’y haussait.
Je déposai l’infime ver luisant sur le tracé de vie. Des
années de gisant s’éclairèrent soudain sous ce fanal
vivant et altéré de nous”.

Il banco d’ocra

“Tornavamo alle strade
per terre d’ombra e rampe di sangue.
Il timone dell’amore non ci sorpassava,
non ci precedeva più.
Aperta la tua mano,
me ne hai mostrato le linee:
vi sorgeva la notte.
Vi ho deposto una minuscola lucciola
affinché brillasse sul solco della vita:
anni di rinunce s’illuminarono di colpo
sotto quella lampada vivente
infatuata di noi”.

***

“Les yeux clos et dans l’effort de m’endormir, je vois
Luire au fond de mes paupières une braise qui est l’ âme
obstinée, l’épave clignotante du naufrage glorieux de ma
journée”.

“Ad occhi chiusi e nello sforzo di prendere sonno,
vedo brillare, sul fondo delle mie palpebre,
una brace: è l’anima ostinata,
il relitto lampeggiante
del naufragio glorioso del mio giorno”.

-René Char-

(Traduzione: Giorgio Caproni)

Nulla di nulla

“Strappami dal sospetto insostenibile
di essere nulla, più nulla di nulla.
Non esiste nemmeno la memoria.
Non esistono cieli.

Davanti agli occhi un pianoro di neve,
giorni non numerabili, cristalli
di una neve che sfuma all’orizzonte –
– e non c’è l’orizzonte –”

-Maria Luisa Spaziani-

(da “La traversata dell’oasi”, Mondadori, 2002)

Magnificat

René Magritte, "Le pays des miracles", 1964

René Magritte, “Le pays des miracles”, 1964

“Quando é que passará esta noite interna, o universo,
E eu, a minha alma, terei o meu dia?
Quando é que despertarei de estar acordado?
Não sei. O sol brilha alto,
Impossível de fitar.
As estrelas pestanejam frio,
Impossíveis de contar.
O coração pulsa alheio,
Impossível de escutar.
Quando é que passará este drama sem teatro,
Ou este teatro sem drama,
E recolherei a casa?
Onde? Como? Quando?
Gato que me fitas com olhos de vida, que tens lá no fundo?
É esse! É esse!
Esse mandará como Josué parar o sol e eu acordarei;
E então será dia.
Sorri, dormindo, minha alma!
Sorri, minha alma, será dia !”

-Fernando Pessoa-

(da “Álvaro de Campos, Poesia”, Assírio & Alvim, Lisboa, 2002)

***

Magnificat

“Quando passerà questa notte interna, l’universo,
e io, l’anima mia, avrò il mio giorno?
Quando mi desterò dall’essere desto?
Non so. Il sole brilla alto:
impossibile guardarlo.
Le stelle ammiccano fredde:
impossibile contarle.
Il cuore batte estraneo:
impossibile ascoltarlo.
Quando finirà questo dramma senza teatro,
o questo teatro senza dramma,
e potrò tornare a casa?
Dove? Come? Quando?
Gatto che mi fissi con occhi di vita, chi hai là in fondo?
Si, sì, è lui!
Lui, come Giosuè, farà fermare il sole e io mi sveglierò;
e allora sarà giorno.
Sorridi nel sonno, anima mia!
Sorridi, anima mia: sarà giorno!”

-Fernando Pessoa-

(da “Poesie di Álvaro de Campos”, Adelphi Edizioni, 1993)

Feeling good

GUARDA LE STELLE

“Guarda le stelle: molte ardono
Nel silenzio della notte
E splendono attorno alla luna
Nell’azzurro del cielo.
Guarda le stelle: tra esse ce n’è una
A me più cara di ogni altra.
Per quale ragione? Si alza per prima
O brilla più vivida?
No! Il suo lume conforta cuori amici
Costretti a separarsi,
e i loro occhi si incontrano in lei,
lassù in alto nell’azzurrità.
Appena la vedi apparire nel cielo,
ti guarda pensosa anch’essa,
e il suo sguardo risponde al tuo
e teneramente riarde.
Nel turchino della notte non stacchiamo
I nostri occhi da lei:
la seguiamo dalla terra al cielo
e dal cielo alla terra.
E tu, hai già scelto la tua stella?
Nel silenzio della notte
Molte splendono e ardono
Nell’azzurro del cielo.
Non affidare il tuo cuore alla prima
Che vedi a te davanti,
non dir tua, futile in amore,
la più fulgida di tutte,
ma chiama invece tua solo la stella
che guarda pensierosa,
e il cui sguardo risponde al tuo
e teneramente riarde.”

-Evgenij Abramovič Baratynskij-

Amando, dove sei?

“Cosa insinua di incerto l’amore
nella speranza, il fiore quale scandalo
nella sua erta oltranza? Dove sei,
amando dove sei?

Nell’altra stanza
odi un canto, un passo strascicato
di danza, e non ci vai, resti dubbioso.
Sai che talvolta è meglio la distanza
che inoltrarti in un ritmo che ascolti
e che vuoi che rimanga nel suo enigma
in cui molti significati, troppi
forse, sono racchiusi nel suo stigma.”

-Piero Bigongiari-

Parla piano

“Parla piano e poi
non dire quel che hai detto già
le bugie non invecchiano
sulle tue labbra aiutano

Tanto poi
è un’altra solitudine specchiata
scordiamoci di attendere
il volto per rimpiangere

Parla ancora e poi
dimmi quel che non mi dirai
versami il veleno di
quel che hai fatto prima

Su di noi
il tempo ha già giocato, ha già scherzato
ora non rimane che
trovar la verità

Che ti dà, che ti dà
nascondere negli angoli
dire e non dire, il gusto di tradire una stagione

Sopra il volto tuo
pago il pegno di
volere ancora avere, ammalarmi di te
raccontandoti di me

Quando ami qualcuno
meglio amarlo davvero, e del tutto
o non prenderlo affatto
dove hai tenuto nascosto finora chi sei

Cercare mostrare approvare una parte di sé
un paradiso di bugie

La verità non si sa, non si sa
come riconoscerla
cercarla nascosta nelle tasche, i cassetti, il telefono

Che ti dà, che mi dà
cercare dietro gli angoli
celare i pensieri, morire da soli
in un’alchimia di desideri

Sopra il volto tuo
pago il pegno di
rinunciare a me non sapendo dividere
dividermi con te

Che ti dà, che mi dà
affidarsi a te, non fidandomi di me

Sopra il volto tuo
pago il pegno di
rinunciare a noi
dividerti soltanto
nel volto del ricordo.”

-Vinicio Capossela-

Je connais des bateaux

“Je connais des bateaux qui restent dans le port
De peur que les courants les entraînent trop fort.

Je connais des bateaux qui rouillent dans le port
A ne jamais risquer une voile au dehors.

Je connais des bateaux qui oublient de partir
Ils ont peur de la mer à force de vieillir,
Et les vagues, jamais, ne les ont séparés,
Leur voyage est fini avant de commencer…”

Paroles et Musique: Mannick ( MarieAnnick Rétif )

***

“Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare…”

Mappa per pregare

… “Non serve schiodare il cielo
a caccia di segreti,
sei tu
che di notte scegli,
non guardi la luce minuscola
ma il buio tutto
che le preme attorno.
Visto che non puoi
essere qui, allora ama altrove,
in rettilinea sequenza,
allora prega.”

-Chandra Livia Candiani-

SOTTOVOCE

Heinrich Vogeler, “Sehnsucht” (Träumerei),1908

“Una sera di nuvole, di freddo
e di luce che spiega ad altro il senso
della mia vita, questo vago accordo
di memorie in sordina, sottovoce
di me, di te, poveramente assorti.

Si resta a volte soli nella veglia
di un racconto sospeso, allora soli,
ignoti l’uno all’altro, ed ora uniti
dal ricordo che un nulla ci divise.

Il rammarico punge, se mi dici:
«bastava che quel giorno…», ti sorrido
con la mesta sfiducia di sapere
che mai giunsi per tempo, che geloso
di te, del tuo passato, almeno vedo
il tuo sguardo d’amore al primo incontro.

Ma forse è giusto credere che allora
tu m’avresti perduto:
come un ragazzo che si lascia indietro
nella paura d’essere felice.”

-Alfonso Gatto-

“Le vere fiabe d’amore sono queste”, diceva, “del castello incantato, della bella sconosciuta che si corica nella notte, e sparisce all’alba e ricompare, finché l’eroe non trasgredisce a una condizione posta (non vederla in viso, non chiedere il suo nome ecc.) e allora tutto sparisce, ed è questa la storia dell’amore, il suo struggimento: il ritrovarla… Conquistare una donna non è ancora l’amore, l’amore viene dopo, la sua unghia che stana, la sua felicità che fa stravedere viene in questo inseguirci, combattere l’assenza, la distanza”.

-Italo Calvino- (tratto da Elsa De’ Giorgi, “Ho visto partire il tuo treno”, Leonardo, 1992 e Feltrinelli, 2017)

Les chats

Didier Lourenço, “Why”, oil on canvas, 2013

Didier Lourenço, “Why”, oil on canvas, 2013

“Les amoureux fervents et les savants austères
Aiment également, dans leur mûre saison,
Les chats puissants et doux, orgueil de la maison,
Qui comme eux sont frileux et comme eux sédentaires.

Amis de la science et de la volupté
Ils cherchent le silence et l’horreur des ténèbres ;
L’Erèbe les eût pris pour ses coursiers funèbres,
S’ils pouvaient au servage incliner leur fierté.

Ils prennent en songeant les nobles attitudes
Des grands sphinx allongés au fond des solitudes,
Qui semblent s’endormir dans un rêve sans fin ;

Leurs reins féconds sont pleins d’étincelles magiques,
Et des parcelles d’or, ainsi qu’un sable fin,
Etoilent vaguement leurs prunelles mystiques.”

Charles Baudelaire, “Les fleurs du mal”-

***

I gatti

“I fervidi innamorati e gli austeri dotti

Amano ugualmente, nella loro età matura,

I gatti possenti e dolci, orgoglio della casa,

Come loro freddolosi e sedentari.

Amici della scienza e della voluttà,

ricercano il silenzio e l’orrore delle tenebre;

l’Erebo li avrebbe presi per funebri corsieri,

Se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.

Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti

delle grandi Sfingi allungate in fondo a solitudini,

Che sembrano addormirsi in un sogno senza fine;

Le loro reni feconde sono piene di magiche scintille,

E di frammenti aurei, come sabbia fine

Scintillano vagamente le loro pupille mistiche.”

Nei giardini dei poeti

“Ruscello vivo è l’amore che corre
nei giardini dei poeti
e genera rose, e genera pioggia e pianto.
Perché l’amore ha così tante varianti di sole?
Perché piange per un nonnulla?
Perché chiede chiede una mano e la rifiuta?
Perché l’amore sente la colpa,
ed è un grande peccato di non accettazione.
Perché la rosa nasce e si sfibra in un solo giorno
perché la toccano tutti
senza pensare che ogni petalo è una bianca vena
e può morire soltanto per un dito
che sbagli nel contatto.
Per toccare una rosa
ci vuole un credo di Dio,

una magica aspettazione e nessun tempo.
Rifiutare un amore
è come rifiutare un grande banchetto
dove sei il primo invitato
e forse ti dà fastidio la sedia,
ti dan fastidio gli applausi,
forse ti dà fastidio quel trono che non vorresti lasciare.
Perché rifiuti l’amore?
Perché sai che la sedia è provvisoria
e che il banchetto dura una sola giornata.
L’uomo per sé vuole le cose eterne
e non sa come dirlo all’altro
che non ha capito niente.”

-Alda Merini-

Quel che c’è in me

Giorgio De Chirico, "La stanchezza dell'infinito", 1912-13

Giorgio De Chirico, “La stanchezza dell’infinito”, 1912-13

“Quel che c’è in me è soprattutto stanchezza –
Non di questo né di quello,
neanche di tutto o di niente:
stanchezza proprio così, proprio lei,
stanchezza.

La tenuità di sensazioni inutili,
le passioni violente per cosa alcuna,
gli amori intensi per immaginarli in altri,
queste cose tutte –
queste e quel che manca in esse eternamente –;
tutto questo dà stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.

C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
Tre tipi di idealisti, e io nessuno di loro:
perché io amo infinitamente il finito,
perché io cerco impossibilmente il possibile,
perché voglio tutto, o un po’ di più, se si può,
o pure se non si può…

E il risultato?
Per essi la vita vissuta o sognata,
per essi il sogno sognato o vissuto,
per essi la media fra tutto e niente, cioè, la vita.
Per me, solo una grande, profonda,
e, ah con quale felicità infeconda, stanchezza,
una superrima stanchezza,
errima, errima, errima,

stanchezza…”

sgnt

Valzer per un amore

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Jung e l’arte: dall’esperienza personale agli esiti teorici

Jung e l’arte: dall’esperienza personale agli esiti teorici

Dopo il “divorzio” da Sigmund Freud iniziò per Carl Gustav Jung un periodo che egli stesso definì di “incertezza interiore”, caratterizzato da una spiccata introversione che lo indusse a recidere i rapporti col mondo universitario e la ricerca scientifica.
Il profondo disorientamento lo portò a una volontaria discesa nel “Regno delle Madri”, in altri termini a quel pericoloso confronto con l’inconscio e col mito che aveva trattato scientificamente in “Trasformazioni e simboli della libido”.
Scendendo nei particolari della sua esistenza, Jung si lasciò andare a quella che più tardi definì l’immaginazione attiva.
Deciso a seguire il proprio impulso creativo, anche a costo di cadere nel ridicolo, si dedicò senza remore a veri e propri giochi di bricolage, realizzando, pezzo dopo pezzo, un villaggio in miniatura che sembrava connotarsi nei termini di un’esperienza rituale.
Il “gioco” rappresentò, com’egli stesso afferma nella sua autobiografia, una sorta di preludio, un “rite d’entrée” che gli consentì di prendere contatto con un “flusso incessante di fantasie” provenienti dal “sottosuolo”.
I contenuti di alcuni sogni e visioni davvero inquietanti (fiumi di sangue, alluvioni, mareggiate, glaciazioni) apparentemente soggettivi, sembravano riguardare in realtà l’umanità intera…
Nell’autunno del 1913 Jung ebbe una serie di visioni profetiche della guerra imminente:- “Mi resi conto che si avvicinava una terribile catastrofe: vedevo i violenti flutti giallastri, le fluttuanti macerie delle opere della civiltà, gli innumerevoli morti, e infine il mare divenuto di sangue (…) Una voce interna mi disse: ”Guarda bene, è tutto vero, sarà proprio così…” (in “Ricordi, sogni, riflessioni”, pag. 217).
I sogni e le visioni cessarono nell’estate del 1914. Il primo agosto scoppiò la guerra mondiale.
Jung annotò le proprie fantasie come meglio poteva, ma nonostante i suoi sforzi nel gestire i contenuti che via via affioravano dal ‘sottosuolo’, ne scaturì un linguaggio elevato e ampolloso.
Egli ricercava costantemente il senso da attribuire a quelle immagini e una volta, mentre era intento al suo metodico lavoro di annotazione, lo colse l’idea che l’intera esperienza potesse avere a che fare con l’arte…
La seducente ipotesi gli era stata come “suggerita” da una voce femminile interna, nella quale egli aveva riconosciuto in un primo tempo una sua paziente e successivamente l’Anima, una struttura archetipica presente nell’inconscio dell’uomo. Così dialogava incessantemente con questa entità femminile, descrivendo le proprie fantasie e consultandola quasi in termini oracolari quando il suo assetto emotivo era particolarmente turbato.
Le fantasie di Jung a quei tempi erano popolate da figure bibliche come Salomè ed Elia che lo studioso riconobbe successivamente quali personificazioni di alcuni archetipi. Successivamente un’altra immagine emerse dal suo inconscio, sviluppandosi naturalmente da Elia e manifestandosi in un sogno:- “Le diedi il nome di Filemone. Filemone era un pagano, ma avvolto in un’atmosfera egizio-ellenistica, con una coloritura gnostica. La sua immagine mi si presentò per la prima volta nel sogno seguente: C’era un cielo azzurro, ma sembrava il mare, non coperto da nubi, ma da zolle di terra bruna. Sembrava che le zolle si allontanassero l’una dall’altra e lasciassero scorgere l’acqua azzurra del mare. Quest’acqua era però il cielo azzurro. Improvvisamente dalla destra giungeva, librandosi nell’aria, un essere alato. Era un vecchio con corna taurine. Portava un mazzo di quattro chiavi, tenendone una come se fosse sul punto di aprire una serratura. Era alato, e le sue ali erano quelle di un martin pescatore, con i loro caratteristici colori. Non riuscendo a capire questa immagine onirica, la dipinsi per meglio vederla. Nei giorni in cui ero occupato a dipingere trovai nel mio giardino, presso la riva del lago, un martin pescatore morto! Ero sbalordito, poiché solo di rado capita di vedere uccelli del genere nei dintorni di Zurigo. Era morto di recente, al più da due o tre giorni, e non aveva segni di ferite. Filemone e le altre immagini della mia fantasia mi diedero la decisiva convinzione che vi sono cose nella psiche che non sono prodotte dal’Io, ma si producono da sé, e hanno una vita propria…” (Ibidem, pagg.225-226).
Filemone insegno a Jung la “realtà dell’anima”, divenendo il suo guru interiore, il suo “psicagogo”.
Più tardi questa figura-guida fu offuscata dall’emergere di Ka, un’altra importante immagine prodottasi spontaneamente, che rappresentava una specie di demone della terra o del metallo.
Salomè, Elia, Filemone, Ka, erano tutte manifestazioni di processi profondi dell’inconscio, patrimonio comune a tutta l’umanità, che la crisi personale di Jung aveva per così dire “elicitato”.
Gli esiti del confronto con l’inconscio trovarono la loro prima realizzazione in una raccolta di sei piccoli volumi rilegati in pelle nera, il “Libro nero”, i cui contenuti furono successivamente trascritti in un grosso volume in folio, rilegato in pelle rossa, il “Libro rosso”.
Nel Libro rosso Jung tentò un’elaborazione artistica delle sue fantasie in un linguaggio e uno stile assai ricercati, servendosi della grafia gotica, sull’esempio dei manoscritti medievali.
La suggestione artistica deve aver influenzato Jung in maniera davvero incisiva, e questo è confermato dai diversi tentativi di dar forma estetica alle proprie immagini. I “Ricordi” ci informano che il “Libro rosso” era corredato di una serie di dipinti “mandala” realizzati a partire dal 1916.
Per mandala si intende un’immagine circolare che può essere disegnata o dipinta, ma anche modellata o addirittura tracciata danzando (si pensi alle danze dei Nativi americani o dei dervisci). Spesso questa forma contiene una quaternità e compare, come scoprì Jung in seguito alla sua esperienza personale e clinica, negli stati di disorientamento o di dissociazione psichica.
All’epoca del personale confronto con l’inconscio Jung si servì di queste forme circolari nei suoi dipinti, istintivamente, senza curarsi del loro significato. Solo qualche anno dopo, a Chateau d’Oex, dove quotidianamente tracciava disegni sul suo album, cominciò a concepire il mandala come “crittogramma del Sé”, una sorta di specchio della personalità globale che risulta armoniosa solo quando tutto procede per il meglio.
Le pitture rituali su sabbia dei Navaho possono essere considerati, al pari delle configurazioni tibetane, dei veri e propri mandala. Sembra che entrambe rispondano a chiare esigenze di tipo “curativo”, volte alla ricerca di un equilibrio, anche se la loro bellezza e armonia le avvicinano inequivocabilmente all’arte.
Il dilemma tra arte e scienza ha segnato profondamente l’esistenza di Jung, come pure il rapporto con la dimensione sovrannaturale, dal momento che lo psichiatra, durante il suo viaggio all’interno, sentiva di “obbedire a una volontà superiore”…
In un linguaggio tra il filosofico e il letterario, che corrispondeva all’incirca a quello del Libro rosso, Jung scrisse in tre sole sere, nel 1916, dei dialoghi con i defunti come risposta a un’invasione spiritica avvertita nella sua casa di Küsnacht:- “Tutta la casa era come abitata da una folla di gente, come se fosse stipata di spiriti. Si affollavano fin sotto la porta, e si aveva la sensazione di poter respirare a fatica. Ero naturalmente tormentato dalla domanda: “Per amor di Dio, di che mai si tratta?” Allora in coro gridarono:- “Torniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato ciò che cercavamo…” Queste parole corrispondono alle prime righe dei Septem Sermones ad Mortuos” (Ibidem, pagg. 234-235).
La folla di spiriti avvertita da Jung e dai suoi figli sparì quando lui decise di scrivere i Sermoni. Secondo Jung la sua anima, volata da lui durante una fantasia, si era ritirata nell’inconscio, che corrisponde alla mitica terra dei morti, la terra degli antenati. Da allora divenne sempre più chiaro che i morti rappresentavano le tracce ancestrali dell’inconscio, “le voci dell’Inesplicabile, dell’Irrisolto, dell’Irredento”…
Gli scritti di Jung, i suoi mandala, le sue fantasie avrebbero potuto trovare giusta collocazione in ambito estetico, ma lungi dall’attribuire loro un valore artistico, come avrebbe voluto imporgli la “signora estetizzante”, egli giunse alla conclusione che le voci dell’Inesplicabile, pur rappresentando il coronamento della sua esperienza negli abissi, riguardavano l’umanità intera.
La maggior parte della produzione scientifica junghiana successiva è una continua amplificazione delle produzioni fantastiche emerse in quel periodo, una traduzione teorica della sua sconvolgente vicenda personale.
A detta di Jung, la sua scienza era il solo mezzo che avesse per districarsi da quel caos. Considerare arte le sue fantasie lo avrebbe portato ad assumere un atteggiamento di mera contemplazione, allontanandolo dall’obbligo morale di ricondurle alla realtà. Inoltre, invitato ad esprimere il suo parere nei confronti dell’arte contemporanea, Jung non esitò a definire quest’ultima “magia nera”, alludendo in primo luogo all’infrazione dell’ordine razionale che gli artisti del suo tempo mettevano sistematicamente in atto e, in secondo luogo, alla mancata ricomposizione in ordine, capace di integrare gli elementi fino ad allora esclusi dalla coscienza. Agli artisti e all’arte Jung chiedeva una nuova sintesi simbolica, ordine, forma. Non gradiva i mezzi espressivi del suo tempo né accettava le forze dissolventi del linguaggio poetico o pittorico, che a suo dire era fine a se stesso. La sua scienza dunque gli permise di rielaborare le fantasie del sottosuolo, o forse la sua scienza gli impedì di credere fino in fondo di essere dotato di quel “particolarissimo linguaggio” con cui un artista osa esprimere il proprio inconscio…

BIBLIOGRAFIA:

  • Jung C. G., “Ricordi, sogni, riflessioni”, raccolti ed editi da Aniela Jaffè, edizione riveduta e accresciuta, BUR, Milano, 1978.
    •  Salza F., “La tentazione estetica”, Borla, Roma, 1987.
    •  Vallino Marialuisa, “L’estetica di C.G.Jung”, Tesi di Laurea non pubblicata, Roma, 1989.
Il Sé tra Amore e Morte: Soffio, di Kim Ki-duk

Il Sé tra Amore e Morte: Soffio, di Kim Ki-duk

Regia: Kim Ki-duk
Sogg. e sceneggiatura: Kim Ki-duk,
Interpreti: Chang Chen, Zia, Ha Jeong-woo, Hang In-hyeong, Kim Ki-duk
Orig: Sud Corea,2007

Trama: Yeon vive in una fredda casa modernista con un marito fedifrago e una figlioletta. Ascolta alla Tv di un uxoricida del luogo, Jang Jin, condannato a morte, che ha tentato in cella il suicidio. Decide di andare a trovarlo in carcere, dotandosi di un ricco materiale d’arredo e d’abbigliamento. Ad ogni incontro, che diventa sempre più intimo, allestisce, all’interno del parlatorio, una “stanza della stagione” e canta per Jang Jin una canzone corrispondente. La sua solitudine e  il disprezzo per il marito che la tradisce le permette di reinventare la sua esistenza in un altrove dalla sua casa. Il loro rapporto viene controllato dal direttore del carcere, che interrompe a suo piacimento i loro incontri. Nell’ultimo incontro, con un bacio, Yeon tenterà di strappare al suo amante la vita…

Un bacio ad alto voltaggio è l’ennesima trovata (quattordicesimo lungometraggio) del regista coreano, genio indiscusso della settima arte, la cui cifra distintiva lo inserisce a pieno titolo tra i più abili “alchimisti” dell’immagine. Realismo fantastico direbbe lui, per connotare il suo stile espressivo. Noi ci limitiamo a cogliere nel suo straordinario talento il ricorso continuo ad un “manuale di simbologia” che amplifica il dato reale per nutrirlo di ulteriori immagini che ne aumentino il volume e lo spessore e ne liberino la fecondità.
Già nel titolo è suggerita la dimensione simbolica presente nella trama. Un universo surreale, sorretto da alcune geniali invenzioni visive è quello dove si muovono Yeon e Jang Jin. Un altro uomo, un’altra donna che ripercorrono, seppure in ordine inverso, i destini di Sun- hwa e Tae-suk (Ferro 3), dando vita ad una relazione tanto intensa quanto improbabile. Anche qui, come nei film precedenti, di cui ci siamo già occupati, rimane inalterato il bisogno di creare nuovi movimenti affettivi, capaci di scardinare i vincoli imposti o subiti dal collettivo.
Il collettivo è all’interno della dimensione coniugale di Yeon, sposata ad un uomo che la tradisce e non esita a liquidare l’amante con una “correttezza” tanto ovvia da apparire grottesca. Il collettivo è all’esterno di questa famiglia: nel suo gelo, nella sua squallida e vuota routine che assembla le vite degli altri con una ritualità ossessiva e priva di senso. Il collettivo è lo sguardo voyeuristico che spinge fuori da sé il bisogno di ricomporre in unità la propria ineludibile solitudine.
Dopo, forse, c’è l’individuale, quel che resta a chi non osa incominciare una nuova vita e tuttavia ripercorre le tappe del proprio essere al mondo, nel tentativo di costruire una dimensione altra rispetto a quella reale. Al centro, una donna, un’artista, che come Pigmalione, delusa da una vita insignificante, cerca nell’arte scultorea un senso e un progetto da trasferire successivamente in una sequenza di atti cui l’opera d’arte sembra velatamente accennare…
Tra i due estremi, l’individuale e il collettivo, c’è il Sé, quel nucleo profondo e inviolabile della Personalità, che contiene in nuce il graduale cammino di autoconsapevolezza. Yeon, qui come altrove, non è tanto una donna, ma è una personificazione dell’Anima, l’altro polo di cui la Personalità maschile ha bisogno per la sua progressione. Yeon è il tramite perfetto tra dannazione e redenzione, tra desiderio e destino, tenerezza e violenza, Vita e Morte.
Tra la vita e la morte, un bacio. Un soffio, un respiro, la psiche, l’anima, seguendo il titolo etimologicamente. Il significato originario della parola ‘psiche’ deriva dal verbo greco psychein (soffiare) e letteralmente significa qualcosa che è assimilabile al respiro. Nel film, Soom in coreano, sembra esserci  una velata allusione alla pratica biqi detta del  grande giro, un esercizio taoista che consiste nel trattenere il respiro il più a lungo possibile, al fine di eliminare i “blocchi” che, secondo questa teoria, sarebbero all’origine di una qualsivoglia malattia. Seguendo una chiave di lettura psicologica, il soffio di vita che Yeon insuffla nel suo amante è anche soffio di morte, perché nell’atto di sospensione del respiro vitale c’è l’esercizio che consente di accostarsi all’immortalità. L’apnea è una sorta di disgregazione della dimensione corporea che consente di accedere alla natura reale della mente. Vita- Morte- Rinascita sembrano essere le tre tappe cui il cineasta coreano sembra alludere, dal momento che il soffio che unisce i due amanti si inserisce in un destino di redenzione reciproca. Grazie a Yeon, il condannato a morte prende coscienza del ciclico alternarsi delle stagioni della vita: primavera, estate, autunno e inverno, che qui come altrove rappresentano 4 stadi del divenire. Jang Jin sembra non possedere memoria né vitalità e la sua esistenza prende le mosse solo con l’ingresso inatteso di Yeon. E’ questa figura femminile, che lascia ad ogni passaggio un segno tangibile della sua presenza, a conferire senso e spessore alla vita del condannato. Presenza e assenza, tracce indelebili e tuttavia soggette alla legge dell’impermanenza. Le foto che Yeon lascia al suo amante vengono a questi sottratte dai compagni di cella, così come l’allestimento della stanza della stagione, che sembra connotarsi nei termini di uno spazio sacro, viene di volta in volta distrutto e buttato via.  La felicità non deriva tanto dalle cose materiali, quanto piuttosto dalla lenta acquisizione del principio di non-attaccamento e di impermanenza che permette appunto di poter sospendere gli eventi all’interno della vacuità. “Un giorno, alla nostra morte, perderemo tutti i nostri beni, il potere, la famiglia, tutto. La libertà, la pace e la gioia nel momento presente sono le cose più importanti che abbiamo, ma senza una comprensione risvegliata dell’impermanenza non ci è possibile essere felici…Se avessimo compreso davvero che la vita è impermanente, faremmo tutto il possibile per rendere felice l’altra persona già qui e ora…” (Thich Nhat Hanh, Il segreto della pace, Oscar Mondatori, Milano, 2003).
Qui, come in Ferro 3 la prigione non è tanto una limitazione della propria libertà, quanto piuttosto l’occasione per ripensare se stessi, vivendosi nell’attimo presente e nel presente cogliere l’inesorabile compiersi del destino individuale. Ma c’è qualcosa nella vita che contempla già l’idea della morte, nel soffio, che è anima allo stato puro. Seguendo l’impostazione junghiana, Yeon potrebbe rappresentare una mediatrice dell’ignoto, la personificazione di un segreto disegno che sembra riflettere una superiore conoscenza delle leggi della vita. In questo essa è Anima: è anima mundi, ma è anche la mediatrice del passaggio in una sfera di rinascita per la vita di Jang Jin. La metafora del condannato a morte esprime in Kim Ki-duk  la condizione di prigionia dell’Io e in tutti i suoi film questo stato presuppone la possibilità di un riscatto, anzi la esige. La donna, allora, è per l’uomo una porta verso l’interno, e in questo è giustificato il ricorso al soffio, l’intensa consapevolezza che all’interno sta la vita quanto la morte. Jung definisce Anima “l’archetipo del femminile” e “l’archetipo della vita”, e traccia inoltre un’analogia tra Anima e lo Yin e l’anima p’o dei cinesi; tra Anima e i concetti indiani di Māyā e Śakti; infine la collega con la Sofia degli gnostici, amplificandone la gamma emotiva e riferendola ad una vita che proietta fuori di sé la coscienza, una vita che è dietro la coscienza. Anima diventa così “la portatrice primordiale della psiche, ovvero l’archetipo della psiche stessa”( James Hillman, “Anima”, Gli Adelphi, Adelphi ed. Milano, 2002).
Il direttore del carcere rappresenta il mediatore tra la realtà individuale e quella collettiva, l’istanza di controllo, ma anche la legge del Tempo storico, cronologico, che può portare a compimento o, al contrario, interrompere drasticamente gli eventi, lasciandoli in uno spazio indefinito. Il soffio è l’accesso ad un altrove che è oltre lo spazio e il tempo; è il Tempo individuale che ricrea l’universale, secondo una legge interna, che nella Vita anticipa la Morte, confermando solennemente l’Eternità.

Marialuisa Vallino