La cintura di Afrodite

La cintura di Afrodite

La cintura di Afrodite
La bellezza delle dee e l’anima delle donne
Percorsi onirici e mitologici del femminile
Progedit Link

copertina

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L’analisi è un cammino conoscitivo che si svolge in un territorio sconfinato di immagini, attraverso cui è possibile raffigurare in modo unico e irripetibile la propria fisionomia interiore. Il terapeuta è chiamato a riconoscere il vero volto di chi gli sta di fronte, la verità che si cela dietro ogni forma di mascheramento. Il bisogno di autenticità emerge anche dietro le costruzioni difensive, e le storie di molti pazienti rivelano un nucleo di sofferenza che nasce dall’impossibilità di conciliare parti antitetiche di sé, dal rifiuto della complessità, dal conflitto tra ideale e reale. La coesione del Sé, la sua unicità deve strutturarsi proprio a partire dal dialogo tra opposti, e il modo privilegiato per accedere pienamente a se stessi è visitare quell’universo dimenticato e per certi versi “oscuro” che svela le forme e le dinamiche della realtà interiore. Le immagini oniriche mettono continuamente in discussione la coscienza, spezzano le sue connessioni, aprendo nuovi punti di vista. Questo è particolarmente vero quando la dimensione individuale attinge al patrimonio simbolico universale che caratterizza anche l’arte e la mitologia. La psicologia analitica, se intesa come ‘attività estetica’, deve “recuperare” il mito di Afrodite. Non a caso, nel libro, la dea ha il compito di vivificare quelle immagini che, rivelando un particolare processo trasformativo o un aspetto della dimensione amorosa, mostrano le affinità simboliche di un sogno col mito corrispondente. Profondo ‘legame simbolico’ tra donne e dee, la cintura di Afrodite ci induce a ripensare il tema dell’Armonia e della Bellezza, nei termini di una psicologia archetipica che si fonda sul ritorno alla realtà immaginaria. In questo senso Bellezza, Afrodite e ‘anima’ convergono nel multiforme universo psichico, che fa da specchio al numinoso e inesauribile potenziale della dea.

Ringrazio quanti hanno dedicato spazio e attenzione al mio libro, in particolare:
apuliamagazine, Barinedita, Centro studi e ricerche Psyché,  il Corriere di Puglia e Lucania, culturaweb, Delt@iltuogenered’informazione, Diritto & Famiglia, Go-Bari, Il portale delle donne, il Servizio Biblioteca e Comunicazione Istituzionale del Consiglio Regionale della Puglia, Il Tacco di Bacco, la Feltrinelli Libri e Musica di Bari, La Gazzetta del Mezzogiorno, La Gazzetta Meridionale, La Repubblica di Bari, la Rete delle reti femminili, Mondo Editoriale, Piazzanews, Puglia events, Puglia in, Puglia Libre, Puglialive, Radio Made in Italy e, in generale, gli organizzatori delle varie manifestazioni culturali e lo staff della Progedit. Mi scuso per le eventuali omissioni.

Gallery presentazione alla libreria Feltrinelli – Bari 5 giugno.

Foto tratte dai servizi fotografici dell’arch. Vito Palmisani ©viphoto e dell’ing. Luciano Anelli
(Feltrinelli, Bari, 05-06-2013)

Presentazione a cura del dott. Giuseppe Luigi Palma, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, del dott. Gino Dato, giornalista, editore Progedit, della dott.ssa Marialuisa Vallino, autrice del libro.

Gallery presentazione alla libreria Roma – Bari 3 luglio.

Foto tratte dai servizi fotografici di Michele Falcone e Luciano Anelli (Libreria Roma, Bari, 03-07-2013) 

Gallery presentazione al Festival “Il libro possibile” XII Ed. – Polignano a Mare, 11 luglio.

Foto tratte dal servizio fotografico di Luciano Anelli (balconata S. Stefano, Polignano a Mare, 11-07-2013). Altre foto(4-6): dott.ssa Rosa Iannuzzi

Presentazione a cura del dott. Manlio Triggiani, scrittore, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, introduzione del dott. Gino Dato, giornalista, editore Progedit.

Gallery presentazione al Sovereto Festival – 25 luglio.

Foto tratte dal servizio fotografico di Luciano Anelli (Borgo antico, Sovereto, 25-07-2013).

Un suggestivo percorso onirico-mitologico, in forma di reading. Con la partecipazione dell’autrice, degli attori Donato Bottalico e Benedetta Lusito e del presentatore Pierluigi Auricchio.

Venerdì 22 novembre, alle ore 11 presso il Consiglio Regionale della Puglia (Via G. Capruzzi 212-Bari)  nell’ambito dell’iniziativa “Donna, culture e libertà”.

Spazio recensioni

“L’anima delle donne svelata da Marialuisa Vallino” di Rosalia Chiarappa, Martedì, 29 Aprile 2014, apuliamagazine

Difficile appassionare il lettore con storie di sofferenze e di conflitti tra ideale e reale. Eppure la psicanalista Marialuisa Vallino, con il suo libro “La cintura di Afrodite”, edito da Progedit, lo fa e, affrontando temi complessi con un linguaggio facilmente comprensibile e senza banalizzare la materia, si rivolge al largo pubblico interessato all’approccio psicodinamico. E avvicina il lettore a piccoli passi, attraverso quel patrimonio simbolico universale che caratterizza anche l’arte e la mitologia, alla psicologia analitica, in cui proprio la dimensione mitica gioca un ruolo importante. E, soprattutto, non può prescindere dal recupero di un mito fondante come quello di Afrodite, richiamata nel titolo del testo stesso. L’autrice assegna alla dea il compito di svelare le affinità simboliche tra immagini oniriche e mito in modo tale da fornire al lettore un quadro chiaro del profondo legame tra donne e dee. Il filo conduttore di tutta l’opera è quello che lega le storie di analisi raccontate dall’autrice che sottolinea il ruolo della fantasia senza rinunciare ad una dimensione scientifica e segue una costante ricerca di collegamenti fra le tematiche mitiche e religiose con la esperienza clinica e con l’attività psicoterapeutica. Marialuisa Vallino è psicologa analista e ha condotto seminari su “Mitologia, sogno e psicanalisi”. Autrice di diversi saggi e articoli, in “La cintura di Afrodite” ha voluto porre l’accento su storie accomunate da un nucleo di sofferenza che nasce dall’impossibilità di conciliare parti antitetiche di sé e pescando a piene mani nel mito spiega attraverso le antiche favole il sorgere di complessi, come quello materno, che emergono dai racconti dei sogni dei suoi pazienti riportati con il consenso degli stessi. E, pur facendo propria la tesi di Albin Lesky (Storia della letteratura greca, voi. I, il Saggiatore, Milano 1973) che “avevano torto quanti hanno cercato di spiegare l’evoluzione di questi miti riconducendoli tutti a una sola radice”, accompagna il lettore alla scoperta delle profonde affinità tra le immagini archetipe presenti in storie, leggende e favole e in un gran numero di religioni. Un esempio per tutti: la conchiglia da cui nasce Afrodite, motivo ricorrente dei reperti ellenistici, è presente presso gli Aztechi, dove rappresenta il principio femminile e la nascita della vita, e anche presso i Maya, dove diviene invece l’emblema del mondo infero. La conchiglia, dunque, è il simbolo di nascita e rinascita: bivalve venivano sistemate nelle tombe o poste attorno al collo dei defunti nei culti funerari cinesi, indiani, africani.  E il potere magico delle conchiglie è presente perfino nella tradizione Apache. Attraverso Afrodite e la sua cintura, quindi, il lettore avrà modo di scoprire mondi reali e mentali, approdando, proprio come fece la dea dal mare sull’isola di Citera o di Cipro, in territori diversi da quelli conosciuti.

“La cintura di Afrodite. La bellezza delle dee e l’anima delle donne: Dai sogni al mito” di Maddalena Candeliere, Lunedì 10 Giugno 2013,  libri-bari.blogautore.repubblica.it.

Come si deduce già dal titolo, questo saggio di Marialuisa Vallino presentato lo scorso 5 giugno alla Feltrinelli di Bari miscela il mondo dei miti antichi con la psiche delle donne, descrivendo fasi ed esperienze di gente reale attraverso il racconto e l’analisi dei sogni dei suoi pazienti. Il legame tra opposti è al centro della tematica affrontata dalla psicanalista nel corso delle storie d’analisi presentate nel volume. Vari punti di vista si diramano a partire dalle immagini oniriche che permettono alla Vallino di attraversare percorsi differenti a seconda dei casi, studiandone la dimensione individuale e cercando di recuperare la sfaccettatura mitica. La scelta della dea Afrodite è espressamente un segno di interesse verso la corrispondenza stretta che l’autrice nota tra le dee e l’universo femminile. Il mondo onirico diventa lo specchio dell’anima delle donne, in cui si riflette una sfera immaginaria ma allo stesso tempo reale in cui converge la psiche sorprendente e misteriosa del singolo. Sogni ricorrenti che ci “perseguitano” per svariate notti e che ci portano ad interrogarci sul loro significato e sull’universo interiore di ognuno di noi. Sono questi gli elementi caratterizzanti della scrittura dell’autrice. Altro punto nodale del saggio è il processo di metamorfosi, “che in analisi coincide con il mutare atteggiamento” e che nell’esposizione della Vallino “vuole cogliere, trattenere ciò che è per definizione inafferrabile”. “La cintura di Afrodite. La bellezza delle dee e l’anima delle donne” (Progedit editore, pag. 101, € 16,00) espone problematiche di tutti i giorni, ma lo fa in maniera diversa, con la consapevolezza e la volontà di introdurre il lettore in una connessione con la propria interiorità con l’uso di esempi semplici e chiari che siano facilmente comprensibili da ognuno. L’autrice sottolinea dunque l’importanza dell’immaginazione e rimarca il concetto del mito che negli ultimi tempi sta tornando alla ribalta, con l’ausilio di archetipi tipici dell’uomo.

Salone Internazionale del Libro di Torino
Bright Star – da John Keats a Fanny Brawne: Bellezza-Verità, Amore-Morte.

Bright Star – da John Keats a Fanny Brawne: Bellezza-Verità, Amore-Morte.

Locandina

Locandina

Regia: Jane Campion
Sceneggiatura: Jane Campion
Prodotto da: Jan Chapman, Caroline Hewitt
Produttori esecutivi: F. Ivernel, C. McCracken, C. Langan, D. M. Thompson
Direttore della fotografia: Greig Fraser
Costumi e scenografia: Janet Patterson
Montaggio: Alexandre de Franceschi A.S.E.
Musiche: Mark Bradshaw
Durata: 119 minuti
Gran Bretagna, Australia, Francia 2009

PERSONAGGI E INTERPRETI
Fanny Brawne: Abbie Cornish
John Keats: Ben Whishaw

Mr. Brown: Paul Schneider
Mrs. Brawne: Kerry Fox
Toots: Edie Martin
Samuel: Thomas Brodie-Sangster
Maria Dilke: Claudie Blakley
Charles Dilke: Gerard Monaco
Abigail: Antonia Campbell-Hughes
Reynolds: Samuel Roukin

Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell’immaginazione. Quel che l’immaginazione percepisce come bellezza deve essere vero – sia o no esistito prima – poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l’amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura. – John Keats –

Classe 1954, Jane Campion è neozelandese ed è l’unica donna ad aver vinto il festival di Cannes, con Lezioni di piano; l’anno scorso si è ripresentata sulla Croisette con Bright Star, film dedicato alla storia d’amore fra il poeta John Keats e la giovane Fanny Brawne, la fulgida stella del titolo: una storia sulla quale non mancano libri e testimonianze, ma a una sola voce, quella di Keats, che con le parole ci sapeva fare e che scrisse a Fanny lettere bellissime che lei, dopo la sua morte, conservò a lungo. Jane Campion, scrivendo il film, ha rovesciato il punto di vista e ha inventato una seconda voce che, almeno per iscritto, non ci è giunta: quella di Fanny. Il film, infatti, non è la storia di John Keats: è la storia di come Fanny Brawne si accende d’amore per John Keats e la sua poesia.
Di certo non siamo di fronte alla solita storiella romantica sulla fanciulla sognatrice infatuata del poeta: il punto di vista femminile è ciò che salva Bright Star dalla convenzione del film in costume sull’Inghilterra dell’Ottocento, un vero e proprio sottogenere che in passato ha regalato pochi lavori buoni e molti oleografici. La stessa Campion ci aveva provato nel 1996 con Ritratto di signora, ma la nobiltà della fonte letteraria (Henry James) l’aveva forse bloccata. Qui, invece, liberandosi dall’ingombro della trama, ha raccontato un tema che le è caro, il turbamento emotivo che un sapiente uso della parola scritta può suscitare nei lettori: un tema romantico, certo, ma anche reale e appassionato.
La regista neozelandese s’immerge negli ultimi tre anni della breve vita di Keats, cercando di ritagliarsi un tempo cinematografico particolare, denso di risonanze segrete, scandito dai sottili sottintesi o dai repentini slanci e illuminato dai bagliori di una felicità chiaramente impossibile. C’è tutto e il contrario di tutto, insomma, nella storia della relazione che nasce tra il ragazzo figlio dello stalliere, malato di letteratura e di tisi, e la sua musa di buona famiglia, pionieristica creatrice di moda, anticonformistica padrona dei propri sentimenti. Ma Bright Star è anche il confronto fra due creatività, perché Fanny è una stilista del suo tempo – Inghilterra, primo Ottocento – e adora inventare cappellini e vestiti. Non a caso il film si apre con un’immagine che forse solo l’occhio di una donna regista poteva concepire: il primissimo piano di un ago che penetra una stoffa bianca, e finisce con un’immagine speculare, un altro ago che cuce una stoffa nera. Fra i due aghi passano anni e irrompe la morte, perché John Keats muore a Roma, a soli 26 anni, il 23 febbraio del 1821. Fanny gli sopravvive portando per tre anni il lutto, come una vedova, pur non essendo i due sposati.
Il film può apparire a tratti freddo, ma è evidente come la Campion cerchi di schivare accuratamente il manierismo: la classe stilistica va di conseguenza rinvenuta nei dettagli, nel simbolismo ossessivo del ricamo e soprattutto degli abiti che Fanny crea e poi indossa, comunicando idealmente con i versi del poeta. Alla buona riuscita concorre, assieme all’intonata fotografia impressionistica di Greig Fraser, la scelta dei protagonisti, Abbie Cornish e Ben Whishaw, senza dimenticare Kerry Fox che nel 1990 era la sensuale Janet Frame di Un angelo alla mia tavola e ora, venti anni dopo, ha l’età giusta per interpretare la madre di Fanny. La sua presenza conferma, oggi, come in passato, un ulteriore legame emotivo tra l’universo della poesia e il cinema della regista neozelandese.
La bellezza del film sta nelle ambientazioni, in miracoloso equilibrio fra precisione storica e forza metaforica. Nella semplicità (apparente) con cui ogni impennata verso il sublime è riportata a terra da un dettaglio insieme poetico e materiale. E naturalmente nell’estrema accuratezza con cui sono tratteggiati insieme epoca e personaggi, dal primo all’ultimo. Ma la bellezza del film sta soprattutto nell’estensione archetipica e aprioristica della morte e dell’amore. Il pathos in questo ambito esprime un valore che va oltre la sfera personale, umana, e apre inaspettatamente un varco verso la profondità, verso il mondo dell’Anima, l’archetipo mercuriale della vita. Eros rappresenta pertanto solo uno dei poli che costellano la storia d’amore tra Fanny e John, ed è attivato in principio da una condizione di “verginità” psichica della giovane fanciulla, quel territorio che già il poeta aveva personalmente esplorato. L’arte di Keats è la trama su cui la Brawne può intessere il filo della propria vita interiore e quindi riconoscere in sé la verità e la bellezza dell’anima. In quest’ottica la poesia e la personalità di John Keats aprono un passaggio nella vita di Fanny Brawne, conferendo ulteriore spessore alla dimensione creativa della donna, solo apparentemente superficiale. L’ossessione per i vestiti o il ricamo esprime infatti la ricerca simbolica, da parte di Fanny, di un particolare modo di “fare anima”. L’espressione: “il mondo è il luogo, la valle, del fare-anima” viene, come è noto, da Keats, ed è stato il poeta a dire che “Bellezza è Verità”. Hillman, riprendendo Keats, ha sottolineato l’importanza di accostarsi alla realtà psichica con una sensibilità estetica più che con una comprensione cognitiva, riferendosi non all’estetica dell’ornamento, ma all’aisthesis dell’attenzione animata e immaginativa. In greco la parola kosmos esprimeva originariamente un’idea estetica e politeistica: indicava la giusta collocazione delle cose e veniva adoperata soprattutto in riferimento agli ornamenti femminili. Gli Stoici usavano kosmos per l’anima mundi.
Per la Campion, Fanny Brawne, stella del firmamento interiore di Keats, musa ispiratrice, sembra essere l’incarnazione della bellezza visibile dell’anima, un’anima che è soprattutto “anima mundi”, secondo la tradizione filosofica inaugurata da Plotino. Il poeta e i suoi versi fanno da eco al multiforme universo psichico della Brawne, rappresentato nel film attraverso la geniale intuizione visiva della camera brulicante di farfalle. Al pari dell’anima, la farfalla è al tempo stesso allegoria e simbolo della psiche e realizza delle metamorfosi, passando da una forma all’altra. La vita di Keats, soprattutto nella sua contiguità con l’amore e con la morte sembra riflettere lo stesso percorso metamorfico della realtà interiore: In una lettera all’amata Fanny, il poeta scrive:- “Ci sono due cose a cui penso con voluttà nelle mie passeggiate, la tua bellezza e l’ora della mia morte. Oh, se potessi possederti e nello stesso tempo morire! Odio il Mondo. Frusta troppo le ali della mia volontà. Berrei volentieri un dolce veleno dalle tue labbra per abbandonarlo, il mondo!” (2).
In tutte le manifestazioni della bellezza eterna il poeta trova una sorgente di dolore: nelle instabili immagini del bello, nella gioia appena posseduta, che gli sfugge. Accanto al piacere, per Keats, dimora la malinconia: Così è per chiunque senta intensamente…
Conoscersi allora significa andare oltre l’immagine del proprio volto diurno, significa attingere agli aspetti inconsci di sé, alla realtà immaginale e in questa segreta simmetria interiore ciascun amante ritrova nell’altro parte della propria essenza.
Come scrive Keats, nella sua Ode all’urna greca, “la bellezza è verità e la verità è bellezza. E’ tutto quello che sappiamo su questa terra e tutto quello che abbiamo bisogno di sapere.”

Marialuisa Vallino, Alfonso Marrese (Critico e studioso di cinema)

Note:
1. da “Lettera a Benjamin Bailey”, 22 novembre 1817, in: John Keats, “Il sogno di Adamo. Lettere scelte 1817-1820”, a cura di Anna Foch, Oscar Classici, Mondadori, 2001.
2. Shanklin, 25-07-1819, Lettera a Fanny, riportata da Elido Fazi, in “Bright star, La vita autentica di John Keats”, Fazi ed., 2010.